sabato 22 settembre 2012
Traslochiamo
Questo blog, così come il blog 'gemello' Laicittà, da oggi confluisce nel nuovo blog, ECLITTICA. Ci si può continuare a leggere là.
lunedì 18 giugno 2012
Black out - 7
(segue da qui)
Massimo -per gli amici Max - riprende lentamente fiato; guarda la finestrella del pianerottolo, una luce arancione passa attraverso i vetri smerigliati, sembra si muova, si avvicini. Intorno, il buio. Massimo -per gli amici Max - si alza dolorosamente, l'acido lattico gli ha irrigidito le gambe rendendole pesanti; si affaccia cautamente alla finestrella e guarda giù attraverso la fessura: tutta la città è al buio, sicuramente un black-out dovuto all'enorme consumo di energia elettrica dei mille e mille condizionatori e ventilatori, frigoriferi e altri sistemi di raffreddamento accesi per il gran caldo.
Poi il terrore torna ad assalirlo: rumore di passi, zampe veloci, fiato di lupi che annusano l'aria, respirano il suo odore, si nutrono di adrenalina umana attraverso le narici. Unghie che raschiano il legno: la porta alle sue spalle si sta per aprire. Massimo -per gli amici Max - frana giù correndo per le scale al buio, inciampa più volte, si piega una caviglia prendendo male uno scalino ma non smette di franare rovinosamente giù per le scale. Qualche piano più sopra sente i lupi che annusano le sue tracce. Arriva nell'androne: il portone è chiuso, senza corrente non si apre. Infila disperato le unghie e i polpastrelli tra la porta di alluminio e il battente, tira con tutte le sue forze, il portone cede. Esce, corre fino alla sua macchina, qui si rende conto di aver perso chiavi, forse per le scale, forse dentro l'appartamento - nel bosco che non doveva esistere - ma per fortuna si accorge di aver lasciato la macchina aperta. Entra, chiude lo sportello, spinge in basso il pulsante della chisura centralizzata e respira ansimando, nascondendosi nello spazio per le gambe del passeggero anteriore. La radio canta, sta ancora cantando, ha cantato per tutti i lunghi anni della sua corsa nel bosco; canta per quel vecchio della stessa età di sempre, in un corpo da giovane ansimante, nascosto davanti al sedile come un bambino spaventato nel ripostiglio delle scope (non lo faccio più, giuro, lasciatemi stare). La radio canta:
In the comfort of this room
The challenge died
Remember you and me
We laughed 'til we cried
Non è un bambino, Massimo - per gli amici Max - è al sicuro, anche se i lupi lo trovassero non riuscirebbero a entrare dentro l'abitacolo, razionalizza anche la preoccupazione di aver smarrito le chiavi della macchina: non può mettere in moto e andare via finalmente da quel lungo incubo, ma le bestie non possono entrare. Deve solo aspettare la luce del giorno, poi troverà una soluzione: prenderà un autobus, chiederà un passaggio. Oppure chiamerà subito la polizia: infila cautamente una mano nel taschino della camicia per cercare il cellulare, quando sente i sente lupi che circondano la macchina, e impietrisce, trattenendo persino il respiro. Nel silenzio improvviso (non si muovono più? Sono andati via?) spera non essere visto, alza lo sguardo per vedere la Luna, enorme, gigantesca, un pantagruelico occhio di luce arancione attraverso il tettuccio della macchina, rimasto aperto...
Il giorno dopo le cronache parlano del giovane trovato sbranato in macchina durante il black out. La macchina era chiusa dall'interno, pare che la o le bestie siano penetrate nell'abitacolo attraverso il tetto apribile. Segue il solito dibattito sui pit-bull troppo aggressivi, o forse sono stati cani abbandonati e divenuti randagi. Solo il medico legale si accorge che i morsi non coincidono con quelli di una comune bestia domestica. Ma non lo dirà a nessuno, in fondo, cosa cambia?
Fine
(inizio)
lunedì 19 marzo 2012
Black out - 6
(segue da qui)
E ogni cosa nel bosco si ferma per interminabili secondi, gli occhi del mondo e dell'universo intero sono su di lui: i muschi del sottobosco e i vermi sottoterra, gli insetti sui tronchi degli alberi e le falene nell'aria, il polline e la polvere che fluttuano nel silenzio, i raggi della luna come riflettori puntati su un set, il volto tetro della Luna, con gli occhi scavati, oceani scuri nelle orbite, bocca spalancata in un silenzio agghiacciante, un giudizio severo come un'ascia tagliente cala su di lui con muta violenza. Ogni cosa e ogni creatura lo guarda. Ora sarà braccato, ora cominceranno la fuga la caccia.
Lei si copre di scatto, cambia volto, ira furente, urla, i lupi digrignano i denti e si muovono verso di lui.
Massimo -per gli amici Max- prova una fitta lancinante al petto, poi si volta e scappa, corre, corre, inciampa, si perde, corre. Corre senza voltarsi per un tempo che sembra interminabile. Ansima, le orecchie tese a distinguere il rumore della sua corsa da quello del fiato dei lupi, che sente a una distanza imprecisabile, lontani, ma a tratti lo sente, caldo e tagliente, sui polpacci, indolenziti e pesanti. Nella sua mente, in sottofondo, coperte dal suono del respiro greve, si rincorrono domande, incredule, e promesse di morigeratezza futura fatte a non sa nemmeno lui chi.
Corre per ore, giorni, mesi interi, anni -o così gli pare, sente di stare invecchiando in quella corsa a perdifiato, a tratti non ricorda ci sia mai stato altro nella sua vita che quella corsa disperata. Il suo volto ha perso ogni espressione, le gote vibrano ad ogni passo sfiancante, il fiato perennemente sul punto di finire, il cuore che lacera il petto in una ferita dolorosa tra le costole. Una teoria sempre uguale di tronchi, rami cadenti, arbusti, fogliame scuro disteso, linee di polvere e sottili lame di luce arancione su pesanti lame di oscurità, echi e brina sulla pelle scorre davanti ai suoi occhi come una galleria di umidità che sempre lo inghiotte ma che non ha fine, nessuna luce si scorge in fondo.
A volte ha la sensazione di aver dormito nella corsa, gli pare che questa sia la sua vita - una corsa dissennata, una penitenza, espiazione della colpa di aver consumato la vita che gli è stata concessa fino a quel momento una perpetua ma fatua soddisfazione della carne; la colpa di aver dissipato un patrimonio di umanità inestimabile. Rammenta, Massimo -per gli amici Max, una lunga teoria di corpi violati inutilmente e si pente per ognuno di essi. Se ne esco vivo, si dice, cambierò vita.
Finalmente arriva alla porta dell'appartamento - bosco, esce, la chiude con violenza. Si appoggia ansimando alla porta e si accascia, cedendo lentamente alla stanchezza.
(continua)
sabato 3 marzo 2012
I Laic, un anno di Cronache Laiche
Dopo il blog e dopo la testata online, ecco il volume cartaceo versione 2011 di Cronache Laiche. L’indice è davvero completo e informatissimo, ben più ghiotto delle «sole» 400 pagine del testo. Si va dalla religione a scuola all’adozione dei minori, e da Gesù a Einstein, in un avvicendarsi di capitoli brevi ma non affrettati, dei veri e propri piccoli cameo della laicità.
Gli autori sono quelli già noti ai frequentatori dei fatti e dei misfatti in tema di laicità: da Alessandro Baoli, fautore della necessità della laicità per tutti compresi i credenti, a Cecilia Calamani, matematica e giornalista che difende il ruolo salvifico dell’informazione; da Alessandro Chiometti, studente razionalista, alla nemica delle censure Belinda Malaspina.
Il risultato è un affresco molto vario e quindi molto utile sullo stato dell’arte della laicità in Italia; laicità che è – come scrive la Calamani – «l’antitesi del dogmatismo»; e difatti molti dei temi toccati dal libro sono figli proprio del dogmatismo più oscurantista e tenace che si possa concepire. Un esempio su tutti: il darwinismo, ignominiosamente affrontato da quell’infondata idea dell’«intelligent designer» ed eroicamente difeso da Boaga il quale, correttamente, ne traccia la genesi storica in Italia dagli albori torinesi alla diffusione in città come Firenze e Napoli.
C’è lo spazio per ospitare temi di diretto impatto ecclesiale; noto e caro può essere al laico il tema della Sindone, che il chimico del Cicap, Luigi Garlaschelli (artefice già della replica del sangue di san Gennaro), stavolta in eretica combutta con gli atei dell’Uaar, ha fatto derubricare da «sacra» a «replicabile». Altrettanto noto, ma stavolta abietto, è il tema della pedofilia dei preti: il volume ne sparge qua e là alcuni semi quasi con discrezione, e comunque senza l’accanimento anticlericale che in verità il problema meriterebbe. Pregevole, per esempio, il trattatello – sapientemente suddiviso – di Federico Tulli, che riesce ad asciugare la ovvia indignazione rimanendo sui fatti e sulle circostanze. E poi, in rapida ma esaustiva sequenza: le magagne di alcuni papi, le stimmate, l’aborto, i crocifissi negli spazi pubblici, i luoghi «sacri» come Lourdes.
C’è pure lo spazio dedicato alla scomparsa di Christopher Hitchens; se ne occupa Daniele Raimondi, che ci regala un ritratto composto e suggestivo del grande ateo britannico scomparso a dicembre. Dovrebbero essercene molti di atei come lui, di atei che non avevano timore di morire, ma neppure di dichiarare la propria ostilità verso la religione. Com’è afona invece la nostra voce dissenziente e imbelli le nostre timorate intenzioni di riscatto; da italiani succubi, sappiamo solo lamentarci in tono sommesso, mentre «il Cupolone» allunga la propria spettrale ombra sulle teste e dentro le teste di sempre più cittadini. Fatto è che la laicità italiana è diventata un oggetto deformabile, con cui gioca perfino il clero, e che comunque si presta a variegate e non sempre coerenti interpretazioni.
L’autorevole prefattore del libro, Carlo Flamigni, parla esplicitamente di laicità dalla vita non facile, di un termine spesso mal interpretato e accostato impunemente all’anticlericalismo. E perfino, si potrebbe aggiungere, scardinato dal suo verace significato quando lo si vuole offrire nella forma di «laicismo», vale a dire con un sapore di ideologia e di pregiudiziale peggiorativa che «laicità» non ha e non desidera avere. Per altro, ci si può chiedere se davvero sarebbe così sconveniente o/e scorretto condire di anticlericalismo la laicità; in fin dei conti si tratterebbe solo di semplice reciprocità: se il clero è (orgogliosamente e ufficialmente) avverso alla laicità, i laici potranno essere anticlericali? Insomma, la laicità non come attacco ottocentesco al credente, bensì come «difesa» dalle bordate del Vaticano e della politica filo vaticana.
Checché se ne voglia dire, l’Italia, malgrado la Costituzione (sia quando afferma che «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani»: art. 7 primo comma; sia quando scende nei particolari impedendo che la Scuola privata sia sovvenzionata dallo Stato:«Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione senza oneri per lo stato»: art. 33), di fatto non è un paese compiutamente laico. Prova ne sono i grandi temi ma pure i piccoli segnali di presenza/invadenza e di autopromozione: lo scampanare delle chiese, i monili e i simboli cristiani negli spazi pubblici aperti (piazza, strade) e chiusi (scuole, municipi, aule di giustizia), l’universalizzazione delle festività cristiane, l’anomalìa dell’insegnamento della religione cattolica in scuola, la presenza martellante del clero in televisione in veste di opinionista, tuttologo e depositario della saggezza pubblica. Segnali innocui? Nient’affatto; con tale subdola e acritica autoreferenzialità la Chiesa di Roma si garantisce una pressione politica senza uguali, che inevitabilmente si tramuta in consenso, in privilegi e in vantaggio economico (8 per 1000 più varie malcelate sovvenzioni pubbliche). Non solo. Con la diffusione capillare nel tessuto politico e culturale dello Stato, il Vaticano acquisisce – ancora una volta impunemente – l’autorevolezza utile a «imporre» la propria concezione su temi sensibili, delicati e soprattutto laici, come il fine vita, la contraccezione, il divorzio, la convivenza. Sull’altra sponda del Tevere, esso trova l’intero arco parlamentare prono e pronto a raccogliere e valorizzare ogni suo orientamento trasformandolo in legge dello Stato a cui poi ciascun cittadino, compresi i diversamente credenti e gli atei, dovranno sottostare.
Con questo luciferino meccanismo, oggi in Italia è reato decidere di «staccare la spina» ed è non prevista una forma di famiglia diversa dal canone cattolico. Tutto ciò, direttamente o indirettamente, non fa altro che ingenerare discriminazioni, dividere la società, condannare interi strati di popolazione (come quello degli omosessuali) a una esistenza marginale e senza tutele. Quindi, la laicità non è per niente solo un contenzioso filosofico fra credenti e non credenti, fra clero e società civile. Tutt’altro: la laicità si tramuta in problemi concreti e spesso pesanti, difficili da sciogliere proprio per la presenza asfissiante di una mentalità anti-laica che impone un ignobile «ubi maior minor cessat» senza, per’altro, averne i numeri: vedi le chiese vuote, i matrimoni religiosi in costante calo, la frequentazione dell’Irc a scuola sempre più diradata, e i comportamenti delle persone sempre meno vincolati ai dogmi (soprattutto sessuali) della Chiesa.
“I Laic” dedica a questa deriva clericale della politica e delle istituzioni un intero capitolo: «Dei diritti e delle pene», con illuminanti interventi della Calamani (l’ora di religione, l’immagine della donna, l’aborto, i diritti umani), di Virginia Romano (il fine vita), ancora Romano con Boaga e Baoli (l’omosessualità e l’omofobia), Daniele Raimondi (lo «psico reato»), Federico Tulli (la Ru486), Paolo Izzo (l’obiezione di coscienza).
Per dirla con le parole di Gianni Ferrara – professore emerito di Diritto costituzionale presso l’Università La Sapienza di Roma – il problema della relazione laicità-confessionalità dello Stato è di fondo: la laicità dello Stato è questione esclusiva dello Stato. Ricercarla nel rapporto con una confessione religiosa è illusorio e deviante; perché mai una confessione religiosa che, come tale, ha come fondamenti i suoi assoluti, dovrebbe svuotarli?
Affronta il problema anche Ferruccio Pinotti, giornalista del Corsera ma soprattutto autore di fatiche editoriali molto laiche l’ultima delle quali, “Wojtyla segreto”, affonda il coltello della critica nella storia affrettatamente santificata dell’ex papa e delle sue discutibili frequentazioni. Bene, Pinotti, intervistato da Alessandro Chiometti, ci svela forse un po’ più di un po’ il brodo di coltura della non laicità italiana, che è la connessione di CL col partito di Berlusconi ma pure col «comunista» Bersani: solo questo dato dovrebbe farci riflettere.
“I Laic” si chiude in maniera, direi, inaspettata: con un’appendice di Fabio Buffa, che si è occupato della relazione fra Chiesa e pedofilia ma non solo, alle prese con una sorta di piccole, ferali e gustose riflessioni. Una per tutte: «Approvata la legge sul biotestamento: Se vuoi morire devi pagare il ticket». C’è qualcosa di più laico della vita?
Calogero Martorana
(coordinatore Uaar, Unione Atei Agnostici Razionalisti)
I Laic – Un anno di Cronache Laiche
a cura di Cecilia M. Calamani
prefazione di Carlo Flamigni
Tempesta editore 2012, pag 400, € 19,00
Acquistalo qui a prezzo scontato.
(già pubblicato qui)
martedì 20 dicembre 2011
Black out - 5
segue da qui
Quattro o forse cinque lupi di argento scuro, sdraiati, o a bere nel ruscello, e accanto a loro... una donna. Massimo -per gli amici Max- ha una improvvisa e incontrollata erezione, senza alcuna ragione o logica; senza poterle vedere il viso, riconosce la mulatta della discoteca, che sta emergendo dal ruscello dove si era appena bagnata. Massimo -per gli amici Max- sente la nebbia invadere la sua scatola cranica, desidera così ardentemente e illogicamente quel corpo che teme di perdere il controllo. La osserva famelico: è nuda, una venere, si asciuga i capelli con una stoffa raccolta dal fitto dell'erba, si adagia voluttuosamente e prende a osservare la luna, forse parla -ma anche se parlasse non la sentirebbe. Massimo -per gli amici Max- cancella tutto quello che gli sta intorno, ruota lentamente gli occhi, segue ogni singola curva del corpo della donna, i seni perfetti, il monte di venere, le natiche, le gambe lisce e sottili, sembra scolpita da un artista dell'era classica. Ma è viva, indiscutibilmente.
Massimo -per gli amici Max- sente che deve uscire allo scoperto e avvicinarla, per una frazione di secondo si rende conto di avere la mano destra infilata negli slip, si accarezza l'erezione nella nebbia della sua eccitazione. Fa per muoversi quando sente distintamente un rumore alla sua destra, a una trentina di metri da lui, e finalmente la sua soglia di attenzione si rialza. Ma lo stesso rumore è stato sentito anche dai lupi, che si alzano all'unisono e cominciano a ringhiare verso gli alberi alla sua destra. Avanzano mostrando i denti. La donna resta semi sdraiata, si copre con la stoffa e volta la testa a seguire i lupi con lo sguardo. In quel momento dal fitto del bosco un giovane esce allo scoperto; con passo quanto mai incerto, veste una tunica corta, che lascia scoperte le braccia e le gambe dal ginocchio in giù, calza dei sandali dalla fattura evidentemente artigianale, i capelli fino alla base del collo, nella mano tiene un arco, una faretra con poche frecce sulla spalla, è frastornato, si sente scoperto, ma è evidente il suo desiderio di avvicinare la donna, ma anche la paura delle bestie che avanzano, fissa lo sguardo sulla donna. La donna a sua volta fa lo sguardo cattivo, si alza e mostra i denti come un felino. Ed è un attimo: i lupi balzano sul giovane (Massimo -per gli amici Max- ha l'impressione di assistere a un film dell'orrore) e iniziano a sbranarlo, mentre il più grosso lo addenta al collo e lo tiene immobilizzato. Il giovane non oppone resistenza, lascia cadere l'arco, come se quello fosse un destino ineludibile, previsto e anzi atteso a lungo, mentre le sue carni si lacerano sotto i canini delle bestie, il giovane fissa lo sguardo sulla donna lontana, dal lato opposto della radura, quasi con gratitudine, e amore non corrisposto. Muore felice.
Massimo -per gli amici Max- impietrisce, sente un gelo profondo, le membra rigide, non respira. Le bestie consumano avidamente il loro pasto, la donna ora ostenta indifferenza e riprende i suoi lenti movimenti, alza lo sguardo, fissa la luna.
Massimo -per gli amici Max- deve andare via subito, è chiaramente in pericolo. Ma del tutto irragionevolmente desidera quella donna come non mai. Il suo ventre è rigido e teso in un blocco immobile dalla leggera peluria del ventre fino alle pareti dll'intestino, l'intestino, lo stomaco e i polmoni sobbalzano nelle sue viscere a ogni battito pesante del cuore, il cuore salta sempre con maggiore violenza fino alla gola, la gola è secca ed esposta dalla bocca spalancata. Massimo -per gli amici Max- decide di assecondare la paura e fa un passo indietro, senza distogliere gli occhi dall'oggetto del suo desiderio. Ma, inevitabilmente, il piede affonda nel fogliame e fa un rumore secco, di legno umido che si spezza.
(continua)
giovedì 4 agosto 2011
Roma è morta - 5
Dal blog Roma fa schifo:
La conferenza stampa anti-affissioni. Ecco il resoconto
Lo avreste mai detto? Lo avreste mai detto, quando abbiamo occupato, solo noi in tutta la città, ad occuparci dell'argomento, che saremmo arrivati a questo punto? Che lo scempio del Teatro di Ostia Antica sarebbe arrivato sui giornali ed alle conferenze stampa? Che qualcuno si sarebbe occupato degli adesivari traslocatori? Uei, ma allora non siamo completamente pazzi noialtri... Lo avreste mai detto che il Comune si sarebbe dotato di "stacchini" i Pics da 10mila stacchi al mese? Lo avreste mai detto che le nostre intuizioni (chiudere le utenze telefoniche agli abusivi) sarebbero diventate proposte ufficiali? Insomma, non siamo propriamente qui a smacchiare i giaguari e a friggere con l'acqua si direbbe. Leggete il dispaccio (preso da Repubblica.it) dalla conferenza stampa di oggi. Al quale aggiungiamo una postilla: okkay la regia unica dietro agli adesivari, ma le locandine? Quelle che vengono abusivamente affisse ai semafori? Non si è indagato? Non si è notato che i concerti vengono pubblicizzati anche su cartelloni "autorizzati" da Bordoni. E se le ditte che gestiscono questi cartelloni governassero anche tutta la orripilante "comunicazione integrata" dell'evento garantendo tot impianti e tot locandine affisse assicurando stampa e affissione abusiva su pali, segnaletica e semafori? Ma credete davvero che quella affissione militare e capillare di locandine lungo chilometri e chilometri di consolari sia affidata a banali bangladesh pagati 40€ l'ora? Forse sì, ma il coordinamento di chi è? La stampa di chi è? La logistica? Gli adesivi? La grafica...?
Comune: "Denuncia penale
per le affissioni abusive
"La giunta ha deciso di varare una linea dura per tutti i responsabili degli abusi: titolari degli esercizi commerciali, attacchini e committenti. Il reato di danneggiamento aggravato prevede pene tra i 6 ed i 3 anni
Il sospetto è preciso: potrebbe esserci una regia unica dietro al business delle affissioni abusive di piccole dimensioni che pubblicizzano spettacoli ed eventi in tutta la città. Una committenza che tappezza la capitale anche di adesivi pubblicitari di ditte che effettuano soprattutto traslochi e sgomberi. Ad ipotizzarlo sono l'assessore all'Ambiente Marco Visconti ed il direttore del dipartimento Tommaso Profeta. L'ipotesi è suffragata dal lavoro svolto negli ultimi mesi assieme al nucleo Pronto Intervento Centro Storico della Polizia Municipale.
Oltre alle multe già previste dal regolamento comunale, 412 euro per ogni manifesto abusivo e 50 per chi viene sorpreso ad affiggerlo, ora la giunta ha deciso di varare una linea dura: verrà sporta una denuncia penale per tutti i responsabili degli abusi: titolari degli esercizi commerciali, attacchini e committenti. Il reato che verrà contestato è quello di danneggiamento aggravato, disciplinato dall'articolo 635 del codice penale, che prevede pene tra i 6 ed i 3 anni. Al momento è stata depositata presso la Procura una denuncia contro 108 soggetti, riconducibili agli esercizi commerciali citati sugli adesivi abusivi. Contestalmente il Campidoglio ha chiesto alle compagnie telefoniche titolari dei numeri reclamizzati di disattivare quelle utenze.
Sono sufficienti 40 euro a notte per pagare un gruppo di persone che, nell'arco di una notte, provvede ad incollare adesivi e affiggere i piccoli manifesti che pubblicizzano spettacoli ed eventi. Secondo una stima
dei vigili, ogni giorno vengono affissi fino ad 8 mila manifesti pubblicitari abusivi. Negli ultimi 6 mesi l'attività della Municipale di concerto con l'Ama e l'assessorato all'Ambiente ha permesso di rimuovere 60mila tra locandine, manifesti e adesivi, circa 10mila al mese, oltre a 169 impianti pubblicitari, mentre sono state elevate 5 mila contravvenzioni dal nucleo Pics.
"Negli ultimi mesi abbiamo stabilito che il rispetto delle regole deve essere ferreo, vogliamo rendere Roma una città più decorosa, cominciamo con questa lotta quotidiana fermando all'origine chi affigge questa pubblicità abusiva" spiega l'assessore Marco Visconti. Oggi è stato mostrato il risultato di uno degli ultimi sequestri di materiale abusivo: migliaia di locandine che pubblicizzano concerti di importanti artisti nazionali ed internazionali, che si sono svolti soprattutto al Teatro Romano di Ostia Antica e allo stadio del Baseball di Nettuno. Gli artisti naturalmente non hanno alcuna responsabilità per le affissioni illegali, tutto dipende da chi ottiene il subappalto della promozione degli eventi".
Quanto alle affissioni abusive di iniziative politiche Visconti commenta: "se i partiti politici si mettono d'accordo nelle finanziarie per fare una sanatoria questo noi non possiamo prevederlo, facciamo un altro lavoro. Sicuramente la politica dovrebbe essere più rispettosa della città, non ci dà una mano attaccando manifesti abusivi".
Profeta sottolinea invece che "è stata fatta una denuncia alla Procura nei confronti di chi attacca gli adesivi, che causano un danno maggiore". E ribadisce: "Pensiamo ci sia un'unica regia che manovra chi attacca gli adesivi e i manifesti e chi poi materialmente fa i traslochi negli appartamenti".
(03 agosto 2011)
martedì 14 giugno 2011
Sci-fi: quanta fanta vuoi nella scienza?
Uno coltiva nel suo piccolo una passione, spensieratamente, senza pensare di erigersi a maestro e nemmeno pretendere la patente di "esperto" (cosa indispensabile in una professione, ma non necessariamente -o non sempre- in una semplice passione), cerca di parlarne con altri e puntualmente si imbatte nei talebani. Dico, perché se si parla di arte (letteratura e cinema, nello specifico) non c'é nulla di più distante di questo dal dogmatismo, essendo l'arte materia opinabile e soggettiva per eccellenza.
Cosa è la Fantascienza? O meglio: quale percentuale di "plausibilità" deve avere per essere considerata tale? La mia opinione è che non c'é una sola risposta, e infatti non esiste una definizione univoca, accettata da tutti, men che meno c'é mai stato qualcuno che ha osato stabilire dei requisiti "ufficiali" e obbligatori per la stesura di racconti e sceneggiature.
I più estremisti dicono che la percentuale di plausibilità deve essere del 100%, come se si dovesse ignorare il prefisso "fanta" e considerare solo il suffisso "scienza", altri più accomodanti parlano genericamente di "una certa percentuale di plausibilità" e ammettono che ognuno ha la sua 'soglia di tolleranza' delle incongruenze ed errori scientifici nei racconti di sci-fi.
Le gabbie dogmatiche sono in genere molto distanti dalla scienza: ad esempio, nemmeno sulla definizione (arbitraria) di "pianeta" la comunità scientifica ha avuto per lungo tempo una opinione unanime: se si scoprisse un pianeta roccioso di massa significativa, comunque superiore a quella di Eris, nella Fascia di Kuiper (evento possibile, o "plausibile" visto che quella parte di Sistema Solare è ancora di fatto inesplorata), saremmo ancora disposti a definirlo un plutoide piuttosto che un pianeta perché magari la sua orbita ha una eccentricità accentuata? Prevedibilmente si riaprirebbe il dibattito sulla definizione di pianeta; e questa è scienza, figuriamoci se si parla di letteratura.
Tornando a quest'ultima, dicevamo che i talebani della fantascienza dicono che deve essere "plausibile", sennò è solo una "corbelleria". La mia obiezione è che se pretendiamo la plausibilità -totale o giù di lì- una bella fetta di letteratura fantascientifica dovrebbe quantomeno essere derubricata a "fantasy" puro e semplice, perché nei racconti e nelle saghe più conosciute e di maggior successo (e negli eventuali film e serie tv che ne vengono tratte, ovviamente) ci sono spesso incongruenze ed errori correggibili senza inficiare in maniera significativa la trama, ma più spesso altri che se 'corretti' di fatto azzererebbero tutto, rendendo impossibile lo svolgimento dell'azione come concepita originariamente, perché renderebbero necessarie delle modifiche radicali all'economia del racconto.
Alcuni esempi: i motori a curvatura descritti in Star Trek per ora sono solo congetture, di fatto irrealizzabili, e anche viaggiare nell'iperspazio (la cui esistenza, ovvio, non è dimostrata ma solo teorizzata) come in Star Wars. Scientificamente impossibile è viaggiare a velocità pari o superiore -ma nemmeno prossima- a quella della luce, e quindi spostarsi da un pianeta all'altro di una galassia in tempi brevi, che non comportano invecchiamento significativo nei protagonisti del racconto. La gravità artificiale di cui sono dotate molte astronavi, dalla Enterprise alla Nostromo di Alien, non è "plausibile" (e infatti per lo più non spiegata nelle versioni cinematografiche di queste saghe), se non attraverso lo sfruttamento della forza centrifuga; che evidentemente non è sfruttata né dall'Enterprise né dalla Nostromo, e nemmeno dalla Millennium Falcon o dalle Aquile di Spazio 1999. Poi, non è peculiare che i protagonisti delle storie citate -e altre- abbiano sempre a che fare con alieni antropomorfi su pianeti tutti con massa e atmosfera terrestri? Chi scrive queste storie non ha mai letto nulla sul Paradosso di Fermi? Ed è mai possibile che 'la torcia umana' possa sviluppare lo stesso calore di una supernova?
E' possibile che il processo di terraforming di Marte si esaurisca nel giro di una notte? Ovviamente no, ma non per questo Ray Bradbury (in Cronache Marziane) ha scritto una "vaccata" (altra ponderata definizione di un talebano della fantascienza).
Dunque, resterebbe ben poco, se pretendessimo che il fondamento della fantascienza fosse solo di essere "plausibile".
Il casus belli, per quanto mi riguarda, è stato una discussione sulla serie-cult degli anni '70 Spazio 1999.
Di errori e incongruenze ce ne sono in quantità industriale, in effetti più che in altri film o serie tv, errori che nemmeno a citarli tanto sono evidenti (e nessuno nega che alcuni episodi della prima stagione e quasi tutti quelli della seconda sono in effetti inguardabili). Ma per questo non dobbiamo considerarla fantascienza? Se non lo è, allora non lo sono -per gli stessi motivi- anche le serie sopra citate.
In un certo senso, viene in mio soccorso nientemeno che Isaac Asimov, che in un articolo pubblicato sul New York Times nel settembre del 1975 parla proprio della serie di Gerry e Sylvia Anderson, smascherandone senza pietà errori e incongruenze, ma -a dispetto di tanti snob che giudicano le avventure di John Koenig e compagni solo delle "corbellerie"- parla di alcune di queste incongruenze come «errori dovuti a necessità drammatiche», e su questi si dichiara disposto a "soprassedere". A me pare un atteggiamento equilibrato, e non sto nemmeno tirando troppo per la giacca il caro vecchio Isaac.
Questa è la mia visione, il fondamento scientifico e tecnologico è solo uno dei possibili requisiti della sci-fi (e se devo dirla tutta, per me il confine col fantasy è alquanto labile, ma è solo la mia opinione), ce ne sono altri e uno non esclude l'altro. Quando ho letto Hans Phaal non mi sono messo a spaccare il capello in quattro perché è impossibile (non è "plausibile") andare sulla Luna con la mongolfiera; eppure Poe viene considerato l'inventore della fantascienza, come Jules Verne col suo Viaggio al centro della Terra.
Io mi godo allo stesso modo Contact (da un racconto di Carl Sagan) e la base Alpha che passa attraverso un buco nero uscendone illesa, l'Odissea di Kubric (da un'idea di Arthur Clarke) e gli antieroi di Men in Black o District 9. Alla faccia di talebani e snob.
martedì 24 maggio 2011
venerdì 20 maggio 2011
Risveglio... 2
Altri segni del risveglio di Kimala?
In un hotel di Las Vegas un leone -tenuto sotto vetro per il divertimento degli umani- decide di fare colazione con un uomo, uno dei due addestratori in quel momento nella gabbia; l'uomo si è salvato solo per l'intervento dell'altro uomo e della leonessa compagna del leone, la quale stranamente ha trattenuto il suo compagno dal divorare l'addestratore, invece che unirsi al banchetto.
Nella campagna sarda vicino a Teulada, invece, uno sciame di vespe ha aggredito degli escursionisti che si erano avventurati in un sentiero minore (presumibilmente nel 'territorio' degli insetti), poco segnato, durante la loro passeggiata; uno di loro, una donna di 58 anni, non ce l'ha fatta.
A Kansas City uno scimpanzé femmina di nome Sueko è fuggito dallo zoo nel quale era relegato; Sue, una volta rintracciata, si è scagliata contro un'auto della polizia locale, lanciando bidoni della spazzatura e sfondando il parabrezza, prima di essere sedata e rinchiusa di nuovo nello zoo.
Nel parco del Mana Pools, nello Zimbawe, alcuni leoni hanno aggredito e sbranato un turista mentre faceva la doccia. La task force dello Zimbabwe Conservation ha detto che gli animali in questa zona sono traumatizzati per la presenza di bracconieri. Il responsabile del parco ha dichiarato che l'attacco al turista è solo l'ultimo di una lunga serie: otto locali sono stati uccisi e divorati dai leoni dall'inizio dell'anno.
Nell'Ohio, invece, un cervo apparentemente impazzito è entrato in un bar, devastandolo e mettendo in fuga tutti i clienti.
Strani "incidenti" per un paio di cacciatori: nei pressi di Villanova d'Albenga uno di essi spara a un cinghiale, ma questo invece di scappare ha caricato il cacciatore, provocandogli un infarto, che risulterà fatale; in Bielorussia, invece, un altro cacciatore si è avvicinato alla volpe alla quale aveva appena sparato, "per finirla a mani nude", ma la volpe ha reagito e nella colluttazione ha premuto 'accidentalmente' il grilletto del fucile dell'uomo, ferendolo a una gamba e riuscendo a fuggire.
In Svezia, infine, un giovane sciatore incauto ha deciso di uscire fuori pista, nonostante gli avessero raccomandato di non farlo, ed è caduto in una buca; purtroppo per lui quella buca era la tana di un orso in letargo. L'animale, disturbato nel suo sonno, ha aggredito il ragazzo ferendolo per fortuna (sua, non dell'orso) non gravemente.
giovedì 21 aprile 2011
Black out - 4
(segue da qui)
Massimo -per gli amici Max- inciampa nella semioscurità e cade rovinosamente al suolo. Ma non gli importa, non ci fa nemmeno caso, è troppo occupato a non credere ai suoi occhi: com'é che ora si trova nel fitto di un bosco? O meglio: come fa un bosco, una trama complessa di tronchi scuri e fitto sottobosco a perdita d'occhio, a crescere in un appartamento?
L'odore che sentiva gli pareva resina perché resina è proprio quello che è, muschio, bacche, aliti di vento umido; cedri e conifere altissime, Massimo -per gli amici Max- si rialza e in un attimo di lucidità si volta per vedere se la porta dell'appartamento è ancora là: come se se lo aspettasse, deve constatare che non c'é più.
Così inizia a camminare. L'aria frizzante, la luce giallastra che disegna raggi polverosi nella penombra tra le sagome degli alberi, lo inebriano, alterano la percezione del tempo. La luna è sopra di lui, enorme, gigantesca, infinita, incombente tra le cime degli alberi, colora di arancione fluorescente una larga fetta di cielo, per il resto punteggiato di stelle scintillanti sul fondo nero nero della notte. Massimo -per gli amici Max- si perde nel bosco, cammina per un tempo che sembra infinito, con le orecchie tese ad ascoltare e cercare di catalogare i mille piccoli rumori che salgono ovunque e fanno da sottofondo alla musica sottile del vento, che soffia altrove, sopra le cime degli alberi; ascolta piccoli passi sotto le foglie, richiami a volte appena percettibili sui rami più alti, rumore di battito di piccole ali che vaga veloce tra le silhouettes degli alberi sullo sfondo del volto enigmatico della gigantesca Luna.
I suoi passi che spezzano legno umido e smuovono foglie morte, e producono -forse- un eco dietro di lui e che si interrompe ogni volta che lui si ferma ad ascoltare. Si sente una inquietudine crescente salire dalla gabbia toracica e dalla bocca dello stomaco, Massimo -per gli amici Max- si sforza di non pensare all'assurdità di quella situazione, quasi una via di fuga per tentare di bloccare l'inquietudine sul nascere, ma anche un abbandono consapevole al fascino sconosciuto di quella realtà imprevista. Riprende a camminare, e un attimo dopo anche l'eco lontano dei suoi passi riprende e lo raggiunge: un passo, un eco lontano, un passo, un eco stavolta raddoppiato, un passo, una moltitudine di echi, e la bocca dello stomaco che si chiude di nuovo in uno spasimo. Massimo -per gli amici Max- è preoccupato, affretta il passo.
Ma ben presto il timore lascerà posto all'eccitazione. Raggi di luce gialla abitati da polvere umida fluttuante piovono tra le cime degli alberi e gli aghi sui rami, paralleli ai tronchi scuri, Massimo -per gli amici Max- arriva finalmente in prossimità di una radura: sarà larga almeno cinquecento metri, prato incolto, a un margine un ruscello tintinnante, dietro la quinta maestosa della Luna che non si alza ancora abbastanza da diventare bianca e cambiare il colore del bosco. Nella radura c'é movimento, tenendosi al riparo degli alberi più prossimi al margine del prato Massimo -per gli amici Max- si avvicina e osserva: lupi.
(continua)
Iscriviti a:
Post (Atom)