lunedì 25 maggio 2009

Shopping




La ragazza aveva dormito un pò, il pomeriggio dopo il lavoro; in realtà non lo faceva mai -dormire fuori orario- ma quel giorno il negozio aveva chiuso in anticipo per impegni improvvisi della titolare e lei, libera prima del previsto, era andata a casa impreparata a una mezza giornata di libertà. In periodo di saldi, con le strade affollate di consumatori vaganti di vetrina in vetrina che, come le api di fiore in fiore, camminano in stato di trance e spiluccano con gli occhi ovunque, e di tanto in tanto aprono il portafogli con gesti meccanici.
La ragazza, dicevamo, si era trovata a casa senza sapere esattamente cosa fare; così aveva mangiato qualcosa: giusto una porzione di affettati comprati due giorni prima, un pò d'insalata e una mela, una renetta un pò appassita, si era stesa un pò sul divano e poi era uscita; ripensava proprio a quella mela, ora che camminava per la strada: come dire, la guardava, mordendola, e aveva quasi l'impressione di starsi a guardare allo specchio. Il frutto, un tempo liscio e goloso, ora raggrinzito e spento; ma sempre giovane -apparente contraddizione- dolce e vivo nel sapore. La sua personale sensazione di avvizzimento era interiore, e riguardava il suo modo di vedere il mondo, e lei in esso. Un modo ultimamente più critico, disincantato, a volte deluso, come se non si aspettasse più niente; rassegnato, ecco.
Camminava per la strada, sotto un cielo plumbeo, un immenso soffitto grigio e immobile che rendeva sera inoltrata il primo pomeriggio, e l'aria ristagnante, una cappa di afa umida ma nel contempo fresca; un'aria da fine del mondo in quel pomeriggio e in quella lunga strada commerciale, un'arteria incrostata di luminosi ponfi sanguinolenti -i negozi con le vetrine accese- e così densa di sangue trasparente -l'aria e la folla- che la ragazza si immaginava di camminare nella gelatina.
Si sentiva immobile sull'asfalto del centro cittadino, mentre ai suoi fianchi scorrevano le vetrine illuminate: abbigliamento, bigiotteria, calzature, abbigliamento intimo, telefonia; le statue umane impersonate dai mimi erano spesso mimetizzate sullo sfondo delle pareti di marmo annerito dallo smog degli antichi palazzi nobiliari, senza muovere un muscolo, il barattolo con qualche moneta ai loro piedi, la ragazza li guardava e sentiva da dietro le maschere i loro sguardi severi: cosa stai facendo della tua vita, chiedevano con tono greve due figuri completamente vestiti d'oro con una cetra e un flauto silenti nelle mani. La sta sprecando, rispondeva al posto suo un vecchio cavaliere medievale vestito di grigio dalla testa ai piedi, immobile come una statua, con la lancia puntata verso il cielo. Ella semplicemente non sta vivendo, poveretta, ribadiva una vistosissima fata azzurra con un'ampia gonna rivestita di lustrini e una treccia spropositatamente lunga che la copriva, avvolgendola, fino all'altezza della vita. Ella si è lasciata sopraffare dall'apatia, non ha progetti, non ha speranze, aggiungeva una sfinge con maschera da sarcofago di Faraone che si piegava in avanti ogni volta che sentiva una moneta tintinnare nel barattolo. Questo è il suo peccato, sottolineava un porporato con stola di visone e volto completamente dipinto metà nero e metà bianco -il bene e il male- la grossa mitria sulla testa. E' sola, forse è depressa, va compresa ma per questo va forse giustificata?, concluse un clown che le si era parato davanti e le aveva messo, senza che lei se ne fosse ancora accorta, un naso rosso di plastica sopra il suo.
Lei abbozzò un sorriso e proseguì, togliendosi il naso rosso dalla faccia, mentre il clown la spiava da dietro facendo un gesto con la mano (ciao ciao) ma con uno sguardo buffamente adirato, quasi feroce, le labbra tese in una smorfia appena celata dal sorriso dipinto.

(continua)

Nessun commento: