venerdì 1 febbraio 2008

Ora di colazione



Mattina presto, sabato, estate.
Uno slargo recentemente rinnovato: rifatto il marciapiede, in modo tale da aumentare la superficie calpestabile adibita a zona pedonale, e sistemati alcuni vasi con piccoli alberi sofferenti; nessuno in giro -siamo nel centro storico della grande città, dietro la piazza rinascimentale famosa nel mondo: qui la gente si alza tardi, anche chi deve lavorare arriva tardi; chiusa anche l'edicola, a quest'ora la strada è regno degli uccelli.
C'é di tutto un pò: numerosi i gabbiani, che volano alti in cerchi, richiamandosi, provenienti dal vicino fiume, numerosi i piccioni, questi tutti per terra a beccare roba visibile solo a loro, ma qualunque cosa che sia anche lontanamente commestibile; piccoli corvi neri col becco arancione, alcuni passeri, sempre più rari, persino qualche ballerina bianca. E le cornacchie, sempre più numerose -loro- che ormai hanno invaso la città; anche stamane svolazzano tra i balconi dei palazzi nobiliari, si posano e ripartono emettendo la caratteristica risata che è il loro verso, sinistro e tremendamente "umano".
I piccioni passano quasi più tempo a camminare che a volare, con la loro andatura goffa, comica, con quel modo di muovere la testa -retaggio del loro lontano passato da dinosauri- avanti e indietro ad ogni passo, come uno stantuffo, come facevano i vecchi comici da avanspettacolo.
Le cornacchie hanno invaso la città da tempo, provenienti dalle campagne; astutissime e beffarde, si sono adattate alla perfezione all'ambiente urbano. Imparano in fretta: si posano sui bordi dei cestini della spazzatura e con pazienza tirano su tutto quello che contengono, alla ricerca di qualcosa di commestibile, contribuendo in maniera non marginale a sporcare la città. Altra caratteristica prettamente 'umana' di questi uccelli...
Le cornacchie sono tra gli animali più intelligenti in assoluto, e sono tra le cause principali della prossima estinzione dei passeri: ne mangiano le uova e, quando capita, non disdegnano anche qualche esemplare adulto. Vivo e crudo.

Tre o quattro cornacchie stanno per terra a inseguirsi camminando. Si fermano quando atterra poco lontano da loro una coppia di passeri. I passeri cinguettano e beccano sul marciapiede, saltando a zampette unite verso il centro dello slargo. Una cornacchia cammina lentamente verso di loro, non vista dai passeri. Ed è un attimo: i passeri schizzano via, ma la cornacchia aveva già iniziato a saltare, afferra in extremis un passero per un'ala e si posa nuovamente a terra. Così, mentre il piccolo uccello si dimena inutilmente fino a spezzarsi le ossicine, la cornacchia con lentezza serafica si avvia al decollo, come un grosso cargo dalla pista più lunga, onde evitare di dover dividere la preda con le comari.
Povero, piccolo passero nel becco della grossa, vecchia, astuta cornacchia...

Tutto questo, un attimo prima che tutti i volatili presenti all'appello sulla banchina in quel momento siano costretti a volare via, causa avvicinamento di un animale molto più grande. Gli uomini non volano, pensa un corvo, camminano solamente e per di più questo qui sembra molto lento a muoversi, tuttavia è sempre meglio non fidarsi degli uomini. Lo sanno tutti gli animali (tranne i cani e quegli stupidi dei piccioni).
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Il vecchietto avanza faticosamente, un passo alla volta, sudando copiosamente. Ha un piccolo asciugamano avvolto dietro la nuca, come una stola sacerdotale bianco-sporco, e ogni tanto ci si asciuga la fronte e le guance, e ci si pulisce la bocca dalla bava che a volte cola. Con la sinistra tiene un vecchio bastone di legno al quale però sembra non appoggiarsi, piuttosto lo appoggia a terra quando avanza con la gamba sinistra ma senza trasferirci il suo peso; sarà alto un metro e settanta-un metro e settantacinque, ha una circonferenza raguardevole in relazione all'altezza: non riesce a vedersi i piedi, quando china la testa. Capelli bianchi tutti "leccati" all'indietro, piccoli occhiali rettangolari e dei baffi, bianchi pure quelli, un pò disordinati, in contrasto con l'ordine dei capelli. Il muso è sporgente e all'insù, col risultato che sembra perennemente imbronciato, un grugno che lo fa somigliare quasi a un grosso, vecchio topo. Avrà almeno una settantacinquina di anni, ma se li porta male, si potrebbe dire.
Indossa una canottiera che una volta doveva essere bianca, un paio di pantaloni vecchio stile, col risvolto sulle caviglie, che una volta doveva essere color vaniglia, o giù di lì, e un paio di sandali quasi completamente chiusi sul davanti, tranne che per qualche piccola apertura triangolare, che un volta doveva essere testa di moro.
Ha lo sguardo affamato: si dirige verso il bar all'angolo con l'hotel, come fa spesso. Ma è ancora chiuso: è sabato.
Allora si ferma, si guarda intorno e dopo alcuni minuti scorge ciò che attendeva di vedere.

Il giovanotto viene dal lungofiume, dove ha posteggiato la macchina. Stamattina tocca a lui aprire il bar ma non ne ha voglia: anche ieri sera ha fatto tardi e ha molto sonno. Inoltre ha visto da lontano una figura familiare e l'ha riconosciuta: è quel cliente, si, quel vecchio rompiscatole che vuole sempre entrare prima dell'apertura. Ah, che brutto vizio che hanno certi clienti. Ma non vedono quando il locale è ancora chiuso, perché allora cercano di entrare per forza? Non hanno rispetto per chi lavora; ma che: muoiono di fame se aspettano dieci minuti? Eppure non hanno niente da fare, non è che devono andare a lavorare di corsa. Almeno quello là non deve, è un pensionato, si vede. Oggi poi non è neanche ancora passato quello dei cornetti a lasciare le tielle fuori dalla saracinesca, visto che il sabato si apre più tardi, quindi dovrà aspettare, se vuole mangiare.
Si potrebbe -pensa il giovanotto mentre si avvicina controvoglia- aprire a quest'ora anche gli altri giorni, qui siamo in centro, si alzano tutti tardi e i turisti possono fare colazione nei loro hotel, no?! E gli altri a casa loro, no?
Non ha proprio voglia, stamattina; ha fatto un sogno strano ma non lo ricorda, comunque si è svegliato inquieto un pò.

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