venerdì 30 novembre 2007

Delerium




Puoi sentirmi?
Chiunque tu sia, ovunque tu sia.


Mi trovo in un antro oscuro, percorso da lampi soffocati di tenue luce viola, fluorescente. L’aria è elettrica, calda e umida come prima di un temporale estivo; forse sono nello stomaco di un mostro della foresta selvaggia.
C’é un rumore, risacca di anime vive, e delle presenze, fantasmi senza memoria e senza destinazione, fluttuanti nell’atmosfera, come fumo leggero di un incenso antico. Tutto sembra una cerimonia ancestrale, il cambio di pelle di un serpente mitico, veleno ribollente che nasce dal ghiaccio dei millenni.
Sento, sulla soglia della consapevolezza, odore di materia imputridita: pallide orchidee carnivore, funghi inebrianti?
E tutto intorno, gli stridii di giovani pipistrelli, milioni di piccole ombre nere rinascenti, nella volta immensa della notte mentre un orgasmo -o un sacrificio- si consuma da qualche parte, in un posto innominabile, dove si riscrivono ciclicamente le regole del gioco (del Karma).

Il lato oscuro della Luna allarga il suo mantello di velluto nero.
Io mi muovo nella terra umida come un verme nel sottobosco autunnale; non c’è predatore in agguato per me, stanotte.

Mi dispiace.
Ho perso la memoria, ormai, ma ricordo perché sono venuto qui, ricordo il mio desiderio, la mia sete (quanto tempo è passato?): o forse era un sogno.
Mi avvolgevo, sensuale odalisca, nella tela dell’aracnide; senza dire il mio nome. Anelo ancora a quell’oblio del corpo, a quel profumo aspro come la resina di albero secolare. Tela, trama sottile, imperlata di calda umidità, spirali infinite, scintille di fuoco nel buio, mentre gli occhi del Lupo, ebbri di fiamma, guardano altrove, lontano, lontano.
Era un sogno o un desiderio?
Il danzatore ha un rubino al centro del ventre e un velo sottile che scende, giù, fino alle radici più profonde della notte, e verso il centro della terra.
Falene impazzite puntano diritte verso la brace che illumina da dentro i suoi occhi: la porta verso un nuovo mondo, la parte più profonda dell’oceano. Ad occhi chiusi, vedo una lepre che mi spia, da qualche parte nella memoria (la posso sentire ansimare tra le foglie: sono forse io?); e c’è un vento caldo che è un filo ondeggiante, invisibile, qualcosa che fugge tra le rovine di civiltà millenarie.
Mentre il rito si compie, salgo su un albero antico (è ancora il sogno?).
La linfa è come sangue caldo, stelle fossili e lassù, nel magma spento del cielo, c’è ancora la Luna.
Non giungo a casa, non ancora.
Sono un marinaio, adesso. Navigo nel mare delle sirene; ombre, felini sguscianti e splendenti, pelle calda di fuggiaschi, il cuore batte sempre più forte. Naufrago, accarezzo i suoi capelli, che sono d’oro e di miele e di assenzio.
Sono belle, le sirene; hanno capelli neri, lunghi, ispidi, il naso storto e adunco delle aquile; e le mani, unghie come coralli affondano nella mia carne. Strano.
Hanno volti come la corteccia, le sirene, dentro ogni fiordo un occhio antico, perla, diamante, pianeta e odissea. Hanno il cappello a punta, vecchie e grigie palandrane e scarpe di vernice, color del cuore. Vivo, pulsante.
Strano.
Ora sono preda, finalmente: chiudo gli occhi... e l’Egeo intero è su di me, onde calde di schiuma, intorno a me, insinuante lingua salmastra, dentro di me. E nuvole dagli abissi, e mostri marini nel cielo; lontano, i merli della torre tremano perché il cielo sta per cadere sul castello in una volta sola, e giù giù le spalle di Atlante sono tremanti, nude e nere come la torba, ormai. Ora!
Ora.
Ora sono un falco nelle vampe dell’universo intero, a folle velocità precipito, insinuante, altissime energie, miliardi di galassie, un solo grido!


E un cielo pieno di stelle,
e un lago tranquillo sopra la montagna,
e il prato candido di neve,
e alberi infiniti,
e odore di menta e di resina,
e lacrime nuove a liberare…
e il pungente profumo della donna con la falce.


L’ho riconosciuta subito, l’ultima sirena.

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