giovedì 1 ottobre 2009

Ispirazione



Il (non più tanto) giovane aspirante scrittore aveva steso questa frase:
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"la barca avanzava silenziosa e quieta, nel sole del mattino di primavera, come sospinta dal chiaro riflesso della sua immagine sull'acqua placida"
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e stava pensando da giorni al contesto nel quale inserirla.
Stava seduto un pò scomposto davanti alla piccola scrivania di ciliegio, il foglio inserito nella vecchia Olivetti e il carrello fermo sulla prima riga, con la barca e il suo riflesso immobili in attesa di nuovo inchiostro sul quale navigare. Il (non più tanto) giovane aspirante scrittore guardava altrove, oltre il vetro della finestra, le mani appoggiate sul bordo della scrivania con le dita alzate -e le braccia leggermente tese- come se fossero pronte ad avventarsi sulla tastiera non appena fosse arrivata un'idea; ma l'idea non arrivava.
Allora si alzò e si accostò alla finestra; aprì le imposte di vecchio ferro battuto, sottile e leggermente ossidato, della vecchia serra nella quale si trovava, e che aveva adattato a studio nella speranza di trovare ispirazione nel colore e nel profumo dei fiori... inutilmente.
Si sentiva la testa vuota, percepiva quel vuoto come entità viva e lo sentiva farsi beffe di lui; sforzarsi di pensare era come esporsi agli scherni di quei compagni di classe più svegli e prepotenti, rispetto ai quali si diventava facilmente dei bersagli ai tempi della scuola. Ciononostante seguitava a sforzarsi di pensare perché quella ormai era la sua sfida, e prima o poi l'avrebbe vinta, avrebbe scritto un libro, o almeno un racconto, a dispetto del suo vuoto creativo permanente.
Dunque, camminando tra i vasi con le piante grasse fiorite, cercò di visualizzare la barca; immaginò un vecchio battello fluviale, poco più di una piccola chiatta, con una minuscola cabina aperta sui lati e coperta da un telo di stoffa verde su un rozzo telaio di legno grezzo, e una panchina in ferro verde a poppa. La barca scivolava in un canale in aperta campagna, i fiori cadevano dai rami degli alberi e galleggiavano sull'acqua, i salici piangenti danzavano al ritmo dettato dal leggero vento del mattino di primavera. Sulla barca, due donne in vestiti dell'800, con le larghe gonne bianche orlate di pizzo, sedevano sulla panchina, reggevano con le manine guantate degli ombrellini da sole ricamati, e guardavano i verdi prati fioriti ai fianchi del canale, entrambe nella stessa posa, con la testa girata verso destra e leggermente inclinata verso il basso, lo sguardo malinconico e rassegnato a un qualche tipo di ineluttabilità.
A condurre la barca immaginò un uomo, non particolarmente piacevole a vedersi: grassoccio ma non basso, stempiato e abbronzato, o forse solo sporco, pareva appena uscito da una carbonaia. Era sudato, indossava una canotta strappata in più punti e dei logori pantaloni scuri arrotolati sulle caviglie, ai piedi dei vecchi sandali.
Il volto accigliato, truce si direbbe, fissava innanzi a se il canale tenendo ferma la ruota del timone. Ogni tanto lanciava uno sguardo in un piccolo specchietto fissato sulla plancia, in modo da poter controllare le donne sulla panchina. Davvero stridente era il contrasto tra l'immagine dell'uomo e quella delle due donne, due mondi incontratisi per puro caso o per beffa del destino, un orco e due bamboline di porcellana.
L'uomo conduceva la barca, il rumore sommesso del piccolo entrobordo alle sua spalle, e ora guardava in basso, ai suoi piedi dove sotto un telo grigio ammucchiato in un angolo della cabina, spuntava un grosso manico in legno scuro. Seguendo il manico fin dove spariva sotto le pieghe della stoffa immaginò di proseguire e ricostruì nella mente il profilo della lama, fresca di affilatura, della mannaia che aveva nascosto là sotto la sera prima.

Lo scrittore cercò di immaginare i particolari del delitto che si stava per compiere: contò il numero dei colpi di mannaia sui due corpi inermi, calcolò la traiettoria degli schizzi di sangue che ne sarebbero scaturiti, cercò di disegnare i tratti del volto dell'uomo, l'espressione che avrebbe potuto avere mentre uccideva; ma non riuscì a riempire quel gesto, la sorte di quelle tre anime, di un significato, qualcosa che avesse potuto dare un benché minimo senso al loro destino, vittime, carnefice, e il carnefice poi vittima a sua volta del suo destino. Si sforzò...
...ma alla fine dovette ammettere che quella non era una buona idea. Sfilò il foglio dalla vecchia Olivetti con un gesto deciso, facendo emettere un gemito al carrello, lo accartocciò e lo gettò nel cestino all'angolo.
Poi chiuse gli occhi e ogni cosa intorno a lui scomparve.



(continua)

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