martedì 4 agosto 2009

Shopping - 4



(segue da qui)


Si ritrovò nella gelatina umida della strada, la strada scorreva sempre sotto i suoi piedi, lei stava ferma e con la testa china e osservava il dolce come imbambolata. Voleva vedere se la blatta era ancora lì, voleva mordere ma aveva paura, aveva paura ma era tentata di mordere. E così stava con lo sguardo fisso, nell'indifferenza della cerimonia dello shopping intorno a lei. Osservò che la pasta si avvicinava alla sua faccia -o era la sua faccia che cadeva su di essa?- e aveva una enorme, atavica voglia di mordere. Così morse, e in quel momento si accorse del clown che stava proprio di fronte a lei. Fece quasi un balzo per la sorpresa (spavento?) ingoiando sano sano ciò che aveva appena morso, e inevitabilmente lasciò cadere il resto della pastarella, che si spiaccicò sull'asfalto scuro sotto di lei disegnando l'espolosione una stella di meringa e panna montata. Fissando lo sguardo indefinibile del clown, ira ma compassione, comprensione ma condanna (perché?). Poi guardò ciò che restava della pastarella, alzò ancora lo sguardo come in attesa di un giusto rimprovero, ma si trovò di nuovo sola al centro del tapis roulant della via centrale, mentre di fianco, da un lato e dall'altro, scorrevano i fotogrammi del film delle tentazioni: abbigliamento tecnologico, articoli religiosi, abbigliamento straniero, souvenirs, abbigliamento da lavoro, illuminazione, abbigliamento su misura.
Come in un caleidoscopio, il suo campo visivo, col punto di fuoco perso tra la folla di fronte a lei, luci che svolazzavano inseguite da macchie di grigio freddo che una ad una le fagocitavano, forse in uscita da un breve stato di sogno comatoso la ragazza si ritrovò al centro della strada. Riflettendo sulla visione appena avuta, immaginò di muovere le gambe e vide l'asfalto sotto le sue scarpe che scorreva all'indietro. Le facce che incontrava erano strane, deformate come corpi celesti alla velocità della luce, espressioni da maschere di film dell'orrore di quarta categoria, si chiese se era davvero sveglia.
Si diede un pizzicotto sul braccio, fece una smorfia per il dolore e, massaggiandosi il braccio, si sentì più sveglia e consapevole, e si ricordò che voleva comprare un vestito. Spostandosi come scivolando, giunse a un piccolo incrocio, completamente ignorato da tutti i passanti: un minuscolo vicolo semioscuro. Lo guardò e lo vide avvicinarsi e fagocitarla; e poi un fragoroso silenzio piombò su di lei, e si trovò come in un altro universo, in un sogno lucido, sulla soglia di una singolarità da dove poteva osservare la strada principale e il passaggio dei corpi come un sipario mosso dal vento. Il vicolo era colmo d'aria ristagnante e di un odore pungente come di acido, secrezione animale o erba medica, odore di corpi putridi nascosti alla vista. Avanzò con cautela. Dopo alcuni metri sulla sua sinistra una piccola bottega aperta, infissi di legno consunto e vetri velati dalla polvere. Si avvicinò per guardare, e incrociò uno sguardo a pochi millimetri dal suo, dietro il vetro. Sobbalzò leggermente per lo spavento, poi guardò meglio e vide i due occhi allontanarsi e rientrare nel chiuso della bottega. La porta di fianco era socchiusa, così sbirciò e vide il bambino: si stava sedendo a un tavolo, prese un piccolo martello, e cominciò a piantare piccoli chiodi nella suola di una bellissima, lussuosissima scarpa da donna, di raso con intarsi e gemme che parevano preziose. L'ambiente, per contrasto, era misero, oscuro, sporco, vuoto. La ragazza proseguì, fino a un'altra bottega, nel silenzio oscuro del vicolo: dentro vide una donna che cuciva il risvolto del colletto di una preziosa camicia di raso, con gemelli d'oro e bottoni di diamante. Il viso della donna, curva -non parve accorgersi della ragazza- sull'indumento era segnato da una stanchezza secolare, segni di fatica dolorosa ma sostenuta in una dignità silenziosa; anche quell'ambiente era straordinariamente misero, scuro e sporco per essere in una via del ricco centro storico della città.

(continua)

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