martedì 8 settembre 2009

Shopping - 5



(segue da qui)

Andando ancora avanti, sola, tra le mura umide del vicolo a pochi centimetri dal suo corpo, la ragazza giunse a una terza bottega, dove in vetrina era esposto un uomo anziano, incredibilmente anziano -pensò, vestito di indumenti laceri stava in piedi come un manichino, il volto coperto di rughe che parevano fiordi sul mare, lo sguardo fisso, gli occhi iniettati di sangue scuro, teneva una gamba poggiata su un mucchietto di stracci: la ragazza guardò meglio e si rese conto con raccapriccio che si trattava del corpo di un bimbo di non più di un anno, anche quello vestito di poveri stracci, pareva morto, o caduto in un sonno profondissimo e forse definitivo. Quella parola (definitivo) venne come da sola alla mente della ragazza mentre guardava il corpicino sotto la scarpa consumata del vecchio, e non capiva come una parola potesse uscire da sola dalla sua mente senza che lei la chiamasse; ma il dolore per quella visione vinse e si allontanò svelta da quella vetrina, senza neanche chiedersi se ciò che aveva appena visto era verità o finzione. O immaginazione.
Proseguì seguendo una luce soffusa, irreale, dorata, che proveniva dal fondo del vicolo, dove curvava leggermente, e giunse infine in una minuscola piazzetta a forma di imbuto. Mura completamente liscie, prive di qualsiasi elemento, nè un'apertura nè un fregio, niente. La parte più stretta era da dove veniva la luce; senza riflettere si incamminò (o era ancora la terra sotto i suoi piedi che scorreva mentre lei era ferma?) ed entrò.
Come in un sogno psichedelico, la ragazza era in una piccola galleria, con delle vetrine da ambo i lati e dentro le vetrine... la più incredibile serie di vestiti che avesse mai visto o sognato. Indossati da manichini senza espressione, vide lunghi abiti da sera ricamati, vesti estive di elaborate trasparenze, larghissime gonne ottocentesche con pizzi pregiatissimi, tailleur di velluto lucente e copricapo elisabettiani con sete intrecciate in immaginifici fiori e decorazioni esotiche, in una ragnatela di luce di diversi colori, la ragazza stava a bocca aperta mentre il pavimento scorreva -le pareva per una volta di più- e scorrevano gli abiti in una stupefacente suggestione di tessuti e pellami indescrivibile.
Ebbra e stordita, desiderando indossare, provare, scegliere, possedere, avere, gli occhi spalancati, si accorse appena che man mano che andava avanti (quanto aveva camminato là dentro? quanto era profondo il negozio?) il contenuto delle vetrine stava cambiando: non più manichini in piedi, ma alcuni caduti a terra -uno insolitamente aveva un volto, e le ricordava quello della donna nella misera bottega di poco prima- altri semisdraiati e storti, gli abiti rovinati, polvere, e abiti strappati e vuoti... e membra di manichini, o forse di eseri umani, ossa, teschi, mucchi di teschi e ossa, impigliate in ragnatele impolverate o sparsi in disordine ma in mucchi di altezza crescente. La luce calava, un odore familiare di muffa, e infine la ragazza capì.

Così, non si meravigliò affatto quando vide spuntare fuori dal fondo due lunghe, enormi zampe segmentate che la afferrarono lestamente, nè si stupì quando il grosso pungiglione penetrò nel suo fianco mentre allo stesso tempo quattro grandi chele la strinsero alla testa e alle gambe.
Mentre il suo cranio si fracassava con una esplosione secca stava giusto pensando -non senza una netta sensazione di sollievo- che si, in effetti non poteva finire che così.

Fine

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