lunedì 11 aprile 2011

Ho visto la Terra! E’ così bella!


di Davide De Martin, da Coelum.com


Il 12 aprile 2011 saranno passati 50 anni da quella mattina del 1961 in cui la Tass diede l’annuncio del volo di Gagarin. Quello che segue è l’articolo pubblicato 10 anni fa, su su Coelum n. 40, in occasione del 40° anniversario dell’impresa. Il sito ufficiale della Yuri’s Night: http://yurisnight.net/


Mattina del 12 aprile 1961, ore 7:05. Adesso che è arrivato sulla cima riesce a vedere la pianura che si stende tutt’intorno. Sotto, l’enorme spiazzo di cemento sgombro e sopra il cielo terso e azzurro, reso abbagliante dal Sole del mattino. Alza la testa, per vedere se c’è un “lassù”, un punto, un luogo di cui possa dire è proprio lì che sto andando. Ma lassù c’è solo un oceano indistinto. Una porta di luce, gli viene da pensare. Riuscirò ad attraversarla? E dopo? C’è poco tempo, un tecnico controlla ancora il suo equipaggiamento, e decide per lui che è venuto il momento di entrare, di adagiarsi sul sedile. Altri uomini, che pure conosce e che ora gli sembrano stranamente distanti, come se appartenessero ormai ad una vita non sua, controllano cinture, strumentazione, contatti e frequenze radio, prese d’ossigeno, comandi. Infine si ritirano con un gesto di saluto, e il portellone si chiude lasciandolo solo. Mancano ancora molti minuti alla partenza. Forse gli ultimi della sua vita, chi potrebbe dirlo? Comunque pochi per pensare a qualcosa di diverso dall’ossessiva ripetizione di quanto deve fare, e soprattutto sentire. Perchè il razzo sotto di lui è una cosa talmente viva che non c’è soffio o tremito che non possa essere interpretato come un segno “buono” o “cattivo”. Resta in ascolto, e torna ancora… quella sgradevole impressione di non essere altro, in fondo, che un sensore, un testimone; non più efficiente o consapevole di quanto furono Zhuchka o gli sfortunati Bars e Lisichka (Zhuchka è il nome russo di Laika; Bars e Lisichka sono due cani che perirono il 28 luglio 1960 nell’esplosione di uno stadio della loro Vostok subito dopo il lift-off).


Gli torna alla mente il “barattolo di conserva”: un locale da dove l’aria veniva aspirata gradatamente per simulare l’ambiente delle grandi altezze. E il giorno in cui ad uno di loro, quando le condizioni simulate erano quelle dei 21 mila metri di quota, era stato ordinato di togliere un guanto: la mano prese a gonfiarsi per il gas che premeva sotto la pelle. E la “camera del silenzio”, una cella completamente isolata dall’esterno, costruita in modo che anche qualsiasi rumore generato al suo interno venisse “assorbito” dalle pareti; dentro era impossibile persino sentire il proprio respiro, che veniva inghiottito dal nulla. Lì era stato rinchiuso per 24 ore, senza luce, senza radio, senza conoscere il tempo trascorso da quando la porta si era chiusa e senza sapere quanto ne sarebbe mancato prima di vederla riaprire. L’oppressione di quel silenzio avrebbe spezzato i nervi a chiunque. E poi l’esperienza opposta, la “camera dei rumori”, dove si era bombardati da ogni sorta di suono, fino a quello continuo e insopportabile prodotto da un motore a reazione, capace di portare chiunque alle soglie della follia. Infine la centrifuga, dove in pochi secondi ti trovi a 13 g, e mentre pesi quanto un’automobile il tuo sedile viene ruotato, capovolto, fatto sussultare; e tu devi continuare a manovrare leve, premere pulsanti, leggere strumenti e a comunicare con gli assistenti…


La voce di Korolev via radio cancella i ricordi, ormai manca poco. Gli ordinano di sistemare la frequenza, di controllare la pressione all’interno della tuta e dell’abitacolo, di verificare vari parametri relativi ai motori ed ai serbatoi di propellente. Tutto è secondo la norma. Parte il conteggio alla rovescia, e a lui non resta che fissare le poche spie luminose del pannello comando, sperando che la più grande, di un intenso colore rosso non si illumini – segno che qualcosa non sta andando come dovrebbe. Se si mettesse a brillare non gli resterebbe che tirare la “leva dei paurosi”, per essere scaraventato lontano prima di scendere appeso ad un paracadute. La spia rossa rimane muta ed il rumore dei motori si fa sempre più forte. Stringe i denti, e nel delirio del momento “vede” distintamente la rampa di lancio invasa dal fumo, e Valya nella tribuna che stringe i pugni e non vuole guardare. Zaria (Zaria è l’identificativo radio della base di Baikonur mentre Kedr è il nome in codice del cosmonauta): accensione! Kedr: ricevuto, accensione. Arrivederci a presto amici miei. Il rombo diviene assordante, il missile è scosso da un lungo tremito e un’accecante lingua di fuoco si accende alla base. Con una lentezza assurda, si solleva dal cemento, mentre l’incastellatura metallica che lo aveva imprigionato fino ad un istante prima si apre come un fiore.


L’orologio a bordo indica le 9:07, comincia la lunga litania delle comunicazioni. Zaria: Kedr, mi ricevi? 70 secondi dopo il lancio. Kedr: Ricevuto, mi sento bene. Zaria: la velocità va bene, come vi sentite? Kedr: bene, le vibrazioni e il rumore sono accettabili. Proseguo il volo. Zaria: sembra tutto in ordine. Kedr: il primo stadio si è spento,le vibrazioni diminuiscono, il secondo è in azione. Ho avvertito bene il distacco. 09:10 Zaria: il cono di testa si è staccato, tutto bene? Kedr: il cono si è aperto, riesco a vedere la Terra, sì la distinguo bene. Il rumore è aumentato un po’. Mi sento alla perfezione, il morale è alto. 09:11 Zaria: bravo, perfetto, va tutto bene! Kedr: vedo dei fiumi. Distinguo bene le pieghe del terreno,la visibilità è buona. Le vibrazioni aumentano, ma è sopportabile. Distinguo delle zone innevate, una foresta, vedo anche delle nuvole. Piccoli cumuli e le loro ombre sul terreno. E’ bello, è davvero bello. 09:12 Kedr: il secondo stadio si è spento. Zaria: tutto come previsto. Ultimo stadio. Kedr: il volo prosegue senza problemi, il terzo stadio è in funzione. Riesco a vedere l’orizzonte della Terra.


La Vostok perde come previsto il contatto radio con Baikonur e viene rilevata da una stazione della Kamtchatka, da dove parla Alexej Leonov (Zaria 2). Ore 09:18:07, sulla verticale della città siberiana di Outchoumi la nave si separa dal terzo stadio. Gagarin si trova ora in stato d’imponderabilità: il primo volo orbitale umano della storia inizia in questo momento. Zaria 2: Kedr, mi ricevi Kedr: vi sento bene, e voi? Vedo l’orizzonte della Terra, il cielo è nero ma le stelle non sono visibili. 09:33 Kedr: entro ora nell’ombra della terra, non vedo più niente. 09:42 Kedr: mi sento bene qui nell’ombra. Sto ascoltando “Le barche del fiume Amur” (la nota canzone popolare russa viene trasmessa dalla stazione di Khabarovsk). Le trasmissioni con Zaria 2 s’interrompono, e proseguono con Vesna, sistema di trasmissione a lunga distanza. 09:53 Vesna: il volo è regolare, siete sull’orbita prevista. 09:57 Kedr: il morale è alto, adesso mi trovo sopra l’America Vesna: ricevuto. 10:04 Kedr: mi trovo ancora nell’ombra. L’umidità nella capsula è del 65%, la temperatura di 20°C. 10:06 Kedr: l’orizzonte è magnifico. Adesso vedo anche una stella! Attraversa l’oblò da sinistra a destra, e… come corre la piccola stella… Se ne va… se ne va… 10:09 Kedr: attenzione, attenzione! Sono uscito dall’ombra! Vedo apparire il Sole e sto sorvolando l’oceano. E’ entrato di nuovo in funzione il dispositivo per l’orientamento solare della nave. 10:24 Kedr: Vesna, qui Kedr. Il volo prosegue con successo, tutti i sistemi funzionano. Vesna: ricevuto! Alle 10:25 si accendono i razzi di frenata, e 10 minuti più tardi la Vostok s’immerge negli strati alti dell’atmosfera.


Nel Quartiere Generale del gruppo di recupero, a Kouibychev, il generale Andrei Trofimovitch verifica un’ultima volta i dati di rientro per determinare il punto esatto del rientro a terra. La regione è stata divisa in settori, ciascuno sorvegliato da squadre di specialisti muniti di radiogoniometro. Vengono allertati reparti di elicotteri, aerei e mezzi terrestri di ogni tipo, pronti a muovere su ogni tipo di terreno. Un gruppo, condotto dal generale Agaltsov con i cosmonauti Kamanine e Titov lascia l’aerodromo di Baikonur diretto a Kouibychev, quando viene raggiunto dalla notizia: La nave spaziale si è posata alle ore 10:55 presso il villaggio di Smelovka, a 23 km da Saratov. A bordo dell’Antonov esplode l’entusiasmo. Gagarin ha infatti da poco preso terra davanti gli occhi spaventati di una contadina accompagnata dalla figlioletta: - Giovanotto, non verrete mica dallo spazio? - Certo che sì! é la risposta di Gagarin. Ma già arrivano camion di soldati, che lo aiutano a liberarsi dalla tuta e prendono in consegna la capsula. Qualche minuto dopo atterra anche un elicottero. Ne discende il commissario sportivo Ivan Borissenko, che conformemente alle regole della Federazione Aeronautica Internazionale registra i seguenti record:


- Primo volo umano nello spazio; - Altitudine (327 km); - Tempo di volo orbitale (108 minuti); - Peso della capsula spaziale (4725 kg). Solo dopo parecchi anni l’Unione Sovietica ammetterà che una delle regole, quella che subordina l’omologazione al rientro del pilota all’interno della navicella era stata violata. Per maggior sicurezza, Gagarin aveva infatti abbandonato la capsula a un’altezza di 7000 metri, scendendo separatamente con il suo paracadute.


Verso le 16:00 un aereo con a bordo Gagarin atterra a Kouibychev, dove il primo cosmonauta rilascia la prima intervista ad un giornalista della Pravda: - Com’era il cielo lassù? - Nero, compagno, molto nero. - E la Terra, come l’avete vista? - La Terra è di colore azzurro. Quando ho sorvolato l’America del Sud e l’Africa ho visto dei grandi laghi… Un paesaggio meraviglioso… Il giorno seguente parte per Mosca, dove da là a poco riceverà le più straordinarie accoglienze mai riservate fino ad allora ad un essere umano.



L’intervista Dal settimanale “L’Europeo” (1961). «Stavo facendo l’addestramento sui Mig quando sapemmo che era stato lanciato il primo Sputnik… ne ascoltavamo i segnali, e quella “voce” che veniva dallo spazio mi stordiva. Pensavo che un giorno anche gli uomini sarebbero arrivati all’altezza dove adesso c’era quella cosa pesante 75 chili. Pensavo anche che certamente ci sarebbero voluti dei giovani per quel volo. Io, forse, sarei diventato troppo vecchio. Ma l’arruolamento per le imprese spaziali cominciò presto; mi feci avanti. Prima di tutto dovevo dimostrare d’avere molta salute. C’era da passare una visita medica severissima. Non chiedetemi che cosa guardano più attentamente i medici in quelle visite, se il cuore, i polmoni, il sistema nervoso. Io so che mi hanno tenuto in osservazione per giorni e giorni. Mi dissero finalmente che la mia salute era perfetta; la preparazione sarebbe cominciata subito. » «La prima regola durante la preparazione stessa è quella di non perdere mai gli orari. Bisogna andare a letto ad una certa ora, né prima, né dopo; bisogna svegliarsi e mettersi in movimento dopo aver dormito bene ed a sufficienza. Alla mattina si fa molta ginnastica; durante l’inverno si scia, nella buona stagione si corre. Poi si fanno dei tuffi da grandi altezze, un poco come nell’allenamento dei paracadutisti: tutti i piloti spaziali debbono avere il brevetto di paracadutista. Questo, per la vita all’aperto. In laboratorio si abitua invece l’organismo a sopportare sia lunghi movimenti rotatori, sia l’azione delle forze centrifughe.


Poi, si studiano molte cose: biologia, astrofisica, radiotelegrafia. I limiti d’età sono molto rigorosi, non meno di vent’anni, non più di trenta. No, non ha importanza né in un senso, né nell’altro, essere sposati o scapoli. Chi è sposato ha una certa libertà, può tornare a casa abbastanza spesso: naturalmente sta alla coscienza di ciascuno rispettare anche fuori del campo d’addestramento una regola di vita seria. Prima io fumavo e bevevo qualche volta un bicchiere di vodka o di cognac. Ho smesso di colpo, appena arruolato.» « Non potevo sapere nemmeno io, fino all’ultimo momento, se avrei fatto il volo. Eravamo stati scelti in 15. Uno di noi sarebbe stato lanciato, gli altri sarebbero rimasti a terra. Tutto sarebbe dipeso dal nostro stato di salute. La sera dell’11 aprile, il comandante ci fece chiamare. “Domani è la giornata”, disse. “Uno di voi partirà. Ancora non posso dirvi chi. Vedremo domattina. Adesso dovete fare una sola cosa: andare a dormire e cercare di riposare, riposare molto e bene.” All’improvviso mi sentii calmo, calmissimo. Era come se la cosa non mi riguardasse, anche se avrei dato tutto, pur di essere io a fare il volo. Andai a letto assai presto. Sono sicuro d’aver dormito dieci ore. No, il sonno non mi si è rotto neppure per un istante; credo d’essermi svegliato nella stessa, precisa posizione nella quale mi ero assopito. Anzi, se non ci fossero stati dei rumori, forse avrei continuato a dormire.


Quando aprii gli occhi, vidi che i miei compagni erano in movimento già da un pezzo. Mi sentivo bene, molto bene. Ero fresco, allegro come se avessi dovuto andare a pescare e non fare quella cosa, quella corsa nel cosmodromo.» « Contava quello che avrebbero detto i medici. Fummo visitati uno per uno. I medici sapevano quanto era grave il giudizio che dovevano dare, erano molto preoccupati. Vidi entrare qualcuno dei miei compagni nel laboratori, poi toccò a me. Fu una visita assai più severa di tutte le altre che avevo passate negli ultimi tempi. “Basta”, disse il capo dei medici, ad un certo punto. “Puoi andare.” Le stesse parole erano state dette a quelli visitati prima di me, le stesse furono ripetute a quelli che vennero dopo. Alla fine vennero fatti 5 nomi; fra questi c’era anche il mio. Il comandante disse: “Il volo verrà compiuto da uno di voi cinque. Andate a prepararvi: equipaggiamento completo, come se doveste partire tutti”.» «Ci trovammo davanti alla Vostok dopo un quarto d’ora. Era una bella mattina, limpida, tirava soltanto un filo leggero di vento.


Il Vostok era a pochi passi. Ormai lo conoscevo a memoria, di fuori e di dentro, ma mi parve come nuovo. Attorno alla macchina c’erano uomini che andavano e venivano. Voi sapete quante cose si fanno per la partenza d’un aeroplano, immaginate quello che può accadere per il lancio di un’astronave. Continuavo ad essere calmo… vedemmo di nuovo i medici, e di nuovo ci visitarono. Dopo la visita ci separarono: tre di qua, io e un altro di là. Capii che il problema si riduceva a scegliere uno di noi due. “Mettetevi il casco”, disse il comandante. “Avanti, Yuri Alekseyevich, sali.”» « Avete visto com’è fatta la parte più bassa della macchina già pronta sulla rampa. Per salire c’è una scala di quindici gradini, di ghisa. La scala ha una doppia ringhiera: io, però, non mi appoggiai. In cima alla scala, lo specialista delle tute spaziali guardò il mio equipaggiamento, sistemò due cinghie che non erano abbastanza tirate, poi mi fece cenno che tutto andava bene. Mi voltai a salutare ed entrai nell’ascensore che porta alla cabina. L’ascensore si mosse, avanzò lentamente verso l’alto, sentivo il cigolare delle corde che lo tiravano. Qualche istante, ed ero davanti alla cabina, aperta. Entrai e subito sentii il comandante che diceva: “Scendi, Yuri Alekseyevich. Adesso voglio vedere il tuo compagno.”» « Era stata una prova, l’ultima. Il mio compagno salì come avevo fatto io, tornò indietro, poi salimmo e scendemmo altre volte, ed alla fine il comandante ci consegnò ancora ai medici. Il mio compagno ed io, dopo una nuova visita, aspettammo. Ci eravamo tolti il casco, ma né lui, né io parlavamo. Il comandante si avvicinò ai medici: discutevano, ma a bassa voce, non afferrai nemmeno il senso di quello che dicevano. Passarono così cinque o sei minuti, poi il comandante venne verso di noi. “Yuri Alekseyevich “, disse, “parti: sei stato scelto tu.” Se mai ero stato in ansia, in quel momento tutto finì. Era come se avessi saputo da sempre che sarei stato io il primo a volare nello spazio…»



E’ stato davvero il primo? Ufficialmente, Yuri Gagarin è stato il primo uomo a volare nello spazio. Ma è proprio così, oppure più modestamente è stato il primo uomo a tornare vivo dallo spazio? Non pretendiamo certamente di poter rispondere a questa domanda. Certo è che già prima del volo di Gagarin le voci del lancio di uomini nello spazio non mancavano. Ecco, per esempio, cosa scriveva in prima pagina il quotidiano “Il Mattino” di domenica 25 settembre 1960. Gli esperimenti spaziali Un astronauta russo sarebbe già in orbita Secondo altre voci il tentativo sarebbe fallito e due astronauti sarebbero morti Londra, 24 settembre 1960 «I russi devono essere in procinto di tentare qualche prodigiosa impresa spaziale. Ho già detto che non sarei sorpreso se i russi tentassero, prima della fine dell’anno, di porre un uomo nello spazio». Ciò è quanto ha dichiarato oggi il professor Bernard Lovell, direttore dell’osservatorio radio-astronomico di Jodrell Bank.


Il professor Lovell ha, tuttavia, aggiunto di non essere in possesso di alcuna informazione seria la quale permetta di credere che i russi hanno già lanciato un uomo nello spazio. Si può ragionevolmente ritenere, ha precisato il professor Lovell, che i russi siano sul punto di tentare di ottenere i tre prossimi trionfi nel campo delle ricerche spaziali: porre in orbita un capsula contente un uomo, un «allunaggio» in dolcezza, e l’inizio dell’esplorazione planetaria. L’annuncio di Radio Mosca secondo cui la Russia scriverà, giovedì prossimo, «una pagina nella storia del mondo» ha dato origine a Londra a supposizioni contrastanti. Mentre un portavoce della BBC ha dichiarato che il comunicato della radio sovietica non ha nulla a che fare con il lancio dell’uomo nello spazio, un giornale del pomeriggio, l’Evening Standard, scrive: «L’uomo è ora probabilmente il orbita.»


Il portavoce della BBC, spiegando la sua tesi ha detto: «Il 27 settembre del 1935 era stato scritto un libro dal titolo «Il mondo oggi» che si proponeva di dare un quadro di cosa stava succedendo in ogni parte della Terra in quel particolare giorno. Ora, il 27 settembre 1960, 25 anni più tardi, il quotidiano sovietico Iszvestia si appresta a fare la stessa cosa». Il corrispondente scientifico dello «Standard», dal canto suo, spiega che gli scienziati sono convinti che nelle prossime 72 ore potrebbe essere fatto un tentativo per riportare sulla Terra un astronauta sovietico. L’uomo sarebbe, quindi, già in orbita. Pubblicando le fotografie dei due astronauti sovietici, il giornale si domanda: «L’uomo nello spazio è Gennady, oppure è Alexei?». Sotto le fotografie si leggono le seguenti didascalie: «Se i russi hanno messo un uomo in orbita, questi potrebbe essere Gennady Mikhallov. Egli è uno dei sei russi sottoposti a continui esperimenti nel centro medico di ricerche spaziali nel lago di Aral». Nella seconda si legge: «Alexei Belcukonev fa parte anche lui della squadra dei sei piloti del centro di ricerche spaziali russo. Si conoscono anche i nomi di altri tre piloti; essi sono: Alexei Grachev, Ivan Kachur ed A.N. Icshak». Sempre secondo il giornale, poichè la Russia è senz’altro in grado di lanciare un uomo in orbita nello spazio e di farlo ritornare tra noi, questo sarebbe ora il momento più adatto per tentare un esperimento di maggior importanza ed ancor più strabiliante: il lancio di un uomo sulla Luna. Il prestigio di Kruscev, che attualmente è sulla scena dell’assemblea generale dell’ONU, se ne avvantaggerebbe.


E’ probabile, quindi, che il significato dell’annuncio di Radio Mosca sia quello di anticipare che giovedì verrà data al mondo la notizia che un satellite è giunto sulla Luna. E' noto, secondo quanto dicono gli scienziati, che per giungere sulla Luna occorrono fra le 60 e le 70 ore. E’, quindi, probabile che, dopo aver effettuato il lancio questa mattina con risultati soddisfacenti, Radio Mosca abbia dato una anticipazione di quella che sarà la grande rivelazione di giovedì. Questa mattina, invece, un consulente medico del centro di ricerche spaziali di Washington ha dichiarato che l’esperimento sovietico di mandare due uomini nello spazio è fallito e che nel tentativo i due astronauti hanno trovato la morte.


Yuri Alekseyevich Gagarin nacque il 9 marzo 1934 nei pressi di Gzhatsk, nella campagna a ovest di Mosca, e crebbe nella tenuta dove il padre lavorava come carpentiere. Yuri frequentò una scuola tecnica alla periferia di Mosca dove, nel 1951, si diplomò in metallurgia prima di iscriversi all’Università per continuare gli studi tecnici. Nel contempo iniziò ad interessarsi di aeronautica e si iscrisse alla locale scuola di volo. Molto presto fu chiaro che il giovane Yuri aveva un naturale talento per il volo e, dopo la laurea nel 1955, si unì alla Scuola di Aviazione Sovietica di Orenburg, dove si diplomò nel 1957.


L’abilità di Gagarin come pilota era di gran lunga superiore al normale, tanto che presto iniziò a lavorare come pilota collaudatore, volando su diversi nuovi aerei sperimentali. Dopo aver manifestato ai suoi superiori la volontà di diventare un cosmonauta, fu scelto per entrare nello speciale gruppo dei migliori piloti collaudatori dell’Unione Sovietica. Iniziò così un severissimo periodo di addestramento durante il quale ottenne i massimi risultati. I suoi istruttori lo descrivevano come un uomo sempre sicuro delle sue risorse, imperturbabile. Spiccava fra i suoi colleghi grazie alla sua operatività, la mente brillante e la sua prontezza. Il 12 aprile 1961, all’età di 27 anni, Gagarin lasciò la Terra partendo dal Cosmodromo di Baikonur. Erano le 9.07 ora di Mosca (le 7.07 del meridiano di Roma); dopo 108 minuti faceva ritorno sulla Terra. Il periodo orbitale del suo volo era di 89 minuti e 34 secondi, la massima altezza raggiunta 327 km e la massima velocità 28 260 chilometri orari. Il veicolo utilizzato da Yuri Gagarin era il Vostok 1, costituito da un piccolo modulo di discesa sferico avente un diametro di 2,3 metri. Il modulo era montato sulla cima di un modulo contenente il sistema propulsivo. Entrambi i moduli pesavano meno di 5 tonnellate al lancio. Il cosmonauta era assicurato ad un seggiolino eiettabile, per mezzo del quale uscì dal modulo di discesa poco dopo il rientro in atmosfera.


La Vostok 1 era montata sulla variante SL-3 del razzo SS-6 Sapwood, lungo 38,36 metri e pesante al momento del lancio 287 tonnellate. Si trattava di un veicolo a tre stadi, il primo dei quali utilizzava quattro motori RD-107 che fornivano ciascuno 102 000 kg di spinta. Durante il volo della Vostok 1, Gagarin non aveva il controllo del veicolo. Questo perché si temeva per le reazioni del fisico e della mente in condizioni di assenza di peso. I russi volevano evitare di correre il rischio che il cosmonauta perdesse il controllo di sé mentre si trovava nello spazio, mettendo in pericolo sé stesso e la missione. Esisteva comunque una chiave che avrebbe consentito al cosmonauta di prendere il controllo del mezzo in caso di emergenza o malfunzionamenti.


La Vostok portava a bordo cibo, acqua ed ossigeno sufficienti per circa dieci giorni; nel caso il retrorazzo non avesse funzionato, in virtù dell’orbita scelta, la nave sarebbe rientrata in maniera naturale in atmosfera durante questo periodo di tempo, e il pilota avrebbe fatto comunque rientro nel suo mondo natale. Gagarin però non incontrò alcun problema. La Vostok non era in grado di posarsi dolcemente al suolo e qualsiasi essere umano che avesse protratto la sua permanenza a bordo fino al momento del touch down sarebbe perito nell’impatto. Gagarin quindi dovette eiettarsi ad un altitudine di circa 7000 metri, dove la temperatura dell’aria è di circa –30°C. Sebbene il cosmonauta indossasse una tuta spaziale in grado di garantirgli comfort termico anche a quella temperatura, Yuri decise di godersi un po’ di caduta libera prima di aprire il suo paracadute e posarsi al suolo, sano e salvo. La notizia del volo nello spazio di Yuri Gagarin fece immediatamente il giro del mondo, e il nome di Gagarin divenne universalmente noto. Il giorno stesso della sua impresa, ricevette le congratulazione del leader sovietico Nikita Chrushev, che successivamente lo onorò del titolo ufficiale di Eroe dell’Unione Sovietica. Morì sette anni più tardi, il 7 marzo 1968, a 34 anni, in un incidente capitatogli durante un volo di routine, mentre collaudava un MIG-15.

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