lunedì 15 giugno 2009

Shopping - 2



(segue da qui)

Scorrevano ancora le vetrine addobbate ai suoi fianchi: abbigliamento sportivo, elettronica, abbigliamento giovane, un grande magazzino, abbigliamento classico, calzature chic.
La ragazza osservò che si, in effetti, la sua esistenza era alquanto statica da molti anni, a volte pensava che riprendeva l'andamento della linea luminosa di un elettroencefalogramma piatto -soleva usare questa immagine, con intento autodenigratorio- altre volte le piaceva pensare che era solo la superficie della sua vita ad essere immobile, ma sotto la speranza scorreva come la corrente in un fiume. Ad ogni modo, non un guizzo di fantasia nella professione: commessa da quindici anni, non un gesto di riscatto nella vita privata: il fidanzato storico sempre in giro col furgone, a casa la mamma imbambolata davanti alla tv, e la sua stanza in ordinato disordine.
Non un desiderio di cambiare che fosse stato più forte della sua paura di cambiare. Com'era finita così? Non se lo ricordava, non ricordava se c'era stato un momento esatto in cui tutto si era fermato, bloccato, aveva smesso di progredire, o se c'era scivolata pian piano, senza rendersene conto.
Sei indistinguibile nella massa dei passanti, l'avvertiva con gli occhi immobili una statua della libertà, verde come di rame ossidato e la lanterna in evidenza sul braccio teso, chi non sogna è già morto, rincarava la dose l'operatore alla macchina da presa stile '900, tutto ricoperto d'oro e con un alto cappello a cilindro, mentre girava il braccio per riprenderla e registrare il suo senso di colpa per consegnarlo intatto ai posteri, aiutatela a sognare, pareva gridare una goffa mummia per metà fuori del suo sarcofago, aiutatela a vincere la sua paura.
Ella in fondo aveva paura in un mondo dominato dalla paura, vittima del fatuo e del superfluo, che celebrava ogni giorno un'orgia consumista, un sabba materialista, terribile e rassicurante, un voodoo relativista, il sacrificio che imponeva di legare la miseria sulla pira e un infinito gioco del cerino di miliardi di anime incantate da quel minuscolo fuoco, e poi il legno scoppiettante e scintillante, ornando le vittime di fumanti monili.
Io non sono responsabile, si illudeva la ragazza mentre scorrevano i negozi illuminati ai suoi fianchi: abbigliamento bimbi, cartoleria chic, abbigliamento retrò, libri e dischi, abbigliamento griffato, bigiotteria; sotto il compatto e scuro soffitto grigio del cielo che, pesante come piombo, comprimeva l'aria afosa e appiccicaticcia mentre refoli di fresco alieno correvano di tanto in tanto ai suoi piedi.
Io sono vittima, al pari della moltitudine di vittime del secolo corrente, è questo che ci hanno insegnato: possedere, apparire, acquistare, collezionare, vegetare, cosa c'é di più assoluto di tutto ciò? Qual'é quindi il riferimento, il traguardo cui tendere, il faro da seguire se non la propria reciproca tranquillità? Cos'altro si può costruire per se stessi, se anche l'altruismo è finalizzato alla gratificazione personale, alla faccia dell'ipocrisia che lo riveste? Siamo solo insetti, il mondo è un enorme formicaio, la vita è camminare, arraffare, riportare, accumulare, e camminare di nuovo, strisciamo tutti come blatte e termiti. Si sentiva una formica operosa, e si rassicurava così, mimetizzando la sua apatia.


(continua)

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