giovedì 13 gennaio 2011

Ateo, no grazie - 10



Terra, anno 4,415,201,500 dalla nascita del pianeta.

Un ominide molto stimato presso la sua comunità di cavernicoli, stregone e guida spirituale dei dodici ominidi in tutto (più qualche capra preistorica e un dinosauro in agguato permanente che cerca sempre di mangiarseli ma non ci riesce mai; lo chiamano 'tiranno silvestro') che compongono la sua tribù, sta seduto davanti al fuoco. Fuma un'erba allucinogena ed è incazzato perché la sua cavernicola non gliela ha data: «ho il mal di testa», gli ha detto. In più, deve dire sempre qualcosa a quegli idioti che pendono dalle sue labbra, e non ne ha voglia. Vorrebbe che imparassero a cavarsela da soli, una buona volta: e poi perché proprio a lui è toccato il ruolo del santone? Solo perché ha i piedi più lunghi e piscia più lontano?

E' la notte del plenilunio, la festa del sosltizio d'estate, il culmine di un periodo dedicato al culto delle anime sacre vaganti sulla terra, che guidano la comunità verso il radioso avvenire e verso i consueti bagordi. La comunità pende dalle labbra dell'ominide stregone, è ansiosa di conoscere la verità rivelata. Tutti fumano l'erba, nella grotta aleggia una sottile nebbia sugli sguardi inebetiti della piccola comunità.
L'ominide stregone fa per parlare, si alza, ma subito inciampa, barcollando, su un sasso e pianta una lunga serie di bestemmie irripetibili sia nella preistoria che in tutte le ere successive. Il piede destro gli fa male e quindi lo tiene alzato. Sta dietro il fuoco, sul'entrata della caverna, e la sua figura, illuminata dal basso, è resa tremolante dal fumo dell'allucinogeno. Indica la sua cavernicola, e finalmente proferisce parola:

«Che tu sia maledetta perché non me l'hai data, a me che ho voglia! E guai a tutti voi se vi mettete a ridere, pensate piuttosto ai cazzi vostri!»
E così dicendo si mette il dito indice nel naso cacciandone fuori una breccola di discrete proporzioni che, nei fumi della droga, si mette in bocca e deglutisce. Poi si volta su se stesso mentre conclude:

«E mettete in ordine qua dentro, se volete dormire su un pavimento pulito, questa è la prima regola, zozzoni! Adesso me ne vado, ma quando torno voglio vedere se mi aveve dato retta!»
Si incammina nella notte verso la collina antistante la grotta, con una scorta di erba, per stare un pò da solo. Non tornerà mai più: il dinosauro se lo mangerà, finalmente.

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Terra, anno 4,415,221,500 dalla nascita del pianeta (ventimila anni dopo).

L'erede del grande stregone si affaccia al balcone davanti al tempio, di fronte a ottomila fedeli in piazza e otto miliardi collegati in mondo visione via cavo, via web e digitale terrestre (per questi ultimi il segnale è alquanto disturbato). Egli domina il mondo e lo guida con la sua antica saggezza.
Parla al popolo dei fedeli, che sta in attesa della predica settimanale. Appeso al balcone lo stendardo raffigurante un cane con un triangolo dietro la testa e il pene scintillante in evidenza, e in erezione. Ai due fianchi dell'anziano padre spirituale, due donne in tunica bianca spolverano incessantemente il parapetto e lavano le finestre; sulla tunica hanno disegnata una freccia dorata che punta in direzione della vagina.

«Che il Santo Canide vi benedica», esordisce il patriarca alzando la gamba destra nel gesto sacro
«A te la diamo» rispondono le donne in coro alzando la gamba destra, mentre gli uomini rispondono enfaticamente: «Sono sempre cazzi miei», alzando anche loro la gamba destra.
E mentre assistono, passano una scopa rituale per terra, raccogliendo la polvere con una paletta benedetta.

«Fratelli, il nostro Santo Canide oggi ci ricorda che per realizzare noi stessi dobbiamo tenere le nostre case pulite e ordinate, in spirito di servizio e per servire la verità, come il Primo Profeta fece all'inizio dei tempi obbedendo al Santo Canide. Nell'attesa che egli torni dalla Sacra Collina, quando egli dovrà trovare il mondo pulito e ordinato, e noi Zozzoni dovremo dimostrare di saper dormire sul pavimento lindo della nostra casa e della nostra coscienza».

«Siano fatti i cazzi nostri»,
risponde in coro il popolo, mentre lucida chi una maniglia di ottone, chi una posata d'argento, chi lava a secco una tendina e chi dà la cera a un paio di scarpe di pelle, tutta roba portata da casa e benedetta dai sacerdoti prima della funzione solenne.

«Le donne» prosegue il vecchio capo spirituale puntando il dito verso la platea dei fedeli «ricordino di darla sempre al loro uomo, per compiere la volontà del Santo Canide e redimere se stesse e il mondo degli Zozzoni dal peccato originale, dall'antica maledizione del Primo Profeta».

«A te la daremo sempre»
 rispondono in coro le donne, sempre reggendosi sulla sola gamba sinistra

«Gli uomini siano solerti e perseveranti nello spazzare il pavimento, e si guardino bene dal ridere, come ci ammonisce il nostro Santo Canide mediante il Profeta dalla notte dei tempi».

«Siano fatti i cazzi nostri»,
risponde in coro il popolo maschile, sempre con la gamba destra alzata.

«Nel mondo di oggi, noi figli della Creazione dobbiamo arginare l'avanzata del relativismo etico che impone costumi lascivi e immondi, di chi crede di poter ridere liberamente e che la risata renda l'uomo libero e affrancato dalla verità. Noi sappiamo che egli ci ammonì dal ridere, perché nella seriosità sta l'essenza della fede, e in questo modo avremo la salvezza e potremo accogliere in pulizia e ordine il ritorno del Primo Profeta. Questo è il messaggio che dobbiamo diffondere nel mondo, se vogliamo redimerlo», conclude il vecchio patriarca immobile sulla gamba sinistra.

«Dunque, che ciascuno di noi tenga sempre accesa l'aspirapolvere, pronta la varechina e ben lucidi gli ottoni, se ci faremo trovare con la scopa in mano a tirare su l'ultimo granello di polvere nell'ultimo dei giorni che il Sacro Canide ci darà, allora avremo sconfitto la morte e saremo liberi, nella comunione degli spazzini e delle lavandaie, insieme al nostro Creatore. Sia fatta la sua volontà».

«A te la daremo», «Siano fatti i cazzi nostri».
Poi, il patriarca con gesto enfatico e nel silenzio composto della piazza, si infila il dito indice nel naso, ne tira fuori una piccola caccola, la alza al cielo, bisbiglia una formula rituale e se la mette in bocca.

Segue benedizione urbi et orbi.

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