venerdì 19 ottobre 2007

Non solo Luka





"My name is Suzanne", avrebbe potuto cantare nel 1987; invece il protagonista del suo successo planetario fu un bambino di fantasia, di nome Luka. Ma era lei.
Sono passati esattamente 20 anni da "Solitude standing" e Luka seguita a perseguitarla.
Suzanne Vega appartiene alla seconda ondata di quel movimento di cantautrici ispirate che, da Joan Baez e Joni Mitchell in poi hanno provato a cambiare il mondo in punta di plettro. Ci sono riuscite? A occhio e croce direi di no: c'é ancora di tutto e di più, guerre, povertà e adesso anche il riscaldamento globale!
Un fallimento si direbbe, se non fosse che non toccava a Suzanne, non a lei, salvare il mondo. Lei scrive poesie -anche autobiografiche- non detta le linee per la rivoluzione. I suoi paesaggi minimalisti, i suoi ritratti di donna sono poesie a tutti gli effetti, potete ascoltarle in musica nelle sue canzoni o solamente leggerle, nei booklets dei cd o nel suo libro a titolo -guarda un pò- "Solitude standing", pubblicato qualche anno fa anche in italiano e supportato da un tour misto tra concerto e reading.
Detto tra noi, il capolavoro assoluto di Suzanne Vega per me è il disco omonimo del 1985, che è anche il primo pubblicato, un lavoro omogeneo, essenziale e altamente ispirato che va inserito di diritto tra le cose buone, anzi eccellenti, dei tanto bistrattati -non del tutto a torto- anni '80.
Ma Solitude standing è sempre là a fare da pietra di paragone per ogni nuova uscita: a leggere le critiche dei dischi usciti dal 1989 in poi si capisce che è così: "un passo indietro rispetto a Solitude standing", scrive un critico, "una sperimentazione che la porta lontana da Solitude standing", scrive un altro, "un ritorno alle atmosfere di Solitude standing", aggiunge un terzo critico, e così via.
Croce e delizia.

A giugno è uscito, nell'indifferenza generale, il settimo lavoro in studio di Suzanne, si intitola "Beauty and crime", ed è dichiaratamente dedicato a New York, la sua città; non solo l'undici settembre, ma il consueto sguardo disincantato su dettagli di vite 'normali', a cominciare dalla sua: per esempio il ricordo di un incontro con un amico in ‘Zephyr & I’ e la morte del fratello in ‘Ludlow Street’.
Musicalmente siamo lontani dal periodo 'sperimentale' di 99°9 F e Nine objects of desire (peraltro riusciti), adesso Suzanne sperimenta solo in rete facendo concerti su Second life; ma è cambiata l'etichetta, la Blue Note, famosa per il jazz che è una delle sue passioni.
Beauty and crime non aggiungerà nulla di notevole al collaudato sound della cantautrice, ma è un disco garbato e piacevole come sempre e vale la pena di essere ascoltato. Lei è sempre sincera e se non altro per questo merita attenzione e rispetto.

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