40 anni fa ci lasciava Jim Clark...
…e il mondo delle corse perdeva uno dei suoi personaggi più indimenticabili di sempre. Perchè ci sono i piloti, e ci sono i campioni, e senza nulla togliere ai primi, certi uomini escono da quello che si considera come “normale” per entrare nella Storia. E Jim Clark era di sicuro uno di questi: di lui possiamo dire che è stato il migliore, o forse no, perchè poco cambia.
Di sicuro Clark ha scritto numerose pagine dell’automobilismo sportivo ed è questo ciò che conta. Senza azzardarsi in confronti improbabili con piloti, auto e corse di epoche troppo diverse tra loro per essere paragonate. Ma di una cosa siamo sicuri, Jim è stato ed (è ancora) l’eccellenza.
Un ricordo che oggi sembra un po’ più forte, perchè sono quarant’anni esatti che è morto Jim Clark. Lui che nel corso di una gara di F2 a Hockenheim - a quei tempi i piloti correvano dappertutto - quando all’attivo già poteva vantare due titoli mondiali, 25 vittorie in F1, 33 pole positions, e persino una vittoria a Indianapolis .
E Jim morì non per un suo errore di guida, ma per un cedimento meccanico (l’ipotesi più probabile è per l’afflosciamento di una gomma) con la sua Lotus finì nel bosco ai lati della pista e non ci fu nulla da fare. E se di numero uno abbiamo detto non vogliamo parlare, rimane il fatto che Clark di sicuro è uno dei fantastici 5 della F1, insieme a uomini come Tazio Nuvolari, Manuel Fangio, Ayrton Senna e Michael Schumacher.
Un mito deciso dai loro risultati e poi dagli appassionati, che nel gergo comune per dire di uno che guidava come un pazzo decisero di ricordarli con la frase “ma chi ti credi essere, Nuvolari?” o Fangio, o Clark, o Senna e Schumi. E Jim Clark è stato il campione che segnò un cambiamento epocale: quando negli Anni ‘60 le gare di automobili passarono dai tempi eroici e folli delle corse legate al coraggio disperato all’era moderna, dove la sicurezza delle piste e delle auto è aumentata giorno per giorno.
Ma come detto lui di questo fu anche vittima visto che al suo tempo si moriva però ancora tanto, troppo, perché dietro alla fatalità c’erano spesso grosse responsabilità dei costruttori. Le automobili, infatti, erano di per sè poco sicure, ma in più aggiungevano molta approssimazione nella loro cura: andavano fortissimo ed erano fragilissime, con una messa a punto superficiale e rotture continue dovute in particolare alla cattiva manutenzione.
Clark era il migliore nella considerazione di tutti, in primo luogo in quella dei suoi rivali. Il primo mondiale con la Lotus lo dominò con 7 vittorie in dieci gare, un bottino pazzesco per anni in cui già finire le corse era un’impresa. Di solito partiva davanti e poi scappava via tanto che qualcuno aveva il sospetto che fosse velocissimo, ma non il migliore nella bagarre. Non era vero: alcune sue rimonte restano nella leggenda; semplicemente era così bravo che partiva davanti e vinceva. Cos’altro poteva fare?
Aveva iniziato con garette attorno a casa guidando di tutto e per tutta la carriera aveva saputo dividersi tra le corse più blasonate ad altre su vetture turismo, oppure prototipi sempre risultando il migliore. Corse anche un rally d’Inghilterra con una Ford Cortina Lotus. L’aspettarono tutti al varco e qualche errore di foga lo commise, ma fin che fu della partita lottò sempre con i primi, spesso battendoli anche se c’era da affrontare la pioggia, la nebbia, il fango e la neve.
Era un numero uno, per molti addetti ai lavori addirittura il numero uno. Dopo di lui sono venuti assi di grandissimo valore come Stewart, Lauda, Andretti, Peterson o Piquet, ma ci volle Senna per cominciare ad avere un nome nuovo da usare come pietra di paragone. Nel frattempo erano volati via vent’anni, e questo la dice lunga su quanto Clark fosse entrato nell’immaginario degli appassionati di automobili.
Ciao Jim, buone corse da lassù…
(da Motorsportblog)
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